sabato 1 dicembre 2007

L'AVVENIRE ALL'ATTACCO SULLE LEGGI ANTIOMOFOBIA

L’IDEOLOGIA DEL «GENERE» QUEL GRIMALDELLO DIETRO UNA CAUSA BUONA di MARCO TARQUINIO

Non sempre ai titoli corrispondono testi coerenti e conseguenti. Ma

qualche volta accade. E non è sempre u­na buona notizia. La riprova la

offre – nuovo caso in questa legislatura – il la­vorìo parlamentare

intorno a una pro­posta di legge dall’intitolazione sugge­stiva e, per

certi versi, emozionalmente coinvolgente eppure in grado di far

scat­tare più di un serio allarme. Ci riferiamo al testo unificato

elaborato in Commis­sione Giustizia della Camera per stabili­re

«Misure contro gli atti persecutori e la discriminazione fondata

sull’orienta­mento sessuale o sull’identità di gene­re ». Un testo

sbrigativamente ribattez­zato «legge anti-omofobia» (ma non so­lo e

soltanto di questo si tratta) e fatto passare per un «adeguamento» a

«obbli­gatori » standard normativi europei (che in realtà obbligatori

non sono affatto). Un progetto, lo diciamo subito a scanso di

equivoci, che non inquieta di certo per l’obiettivo che suggerisce –

l’impegno contro persecuzioni e discriminazioni per motivi di ordine

sessuale –, ma per le categorie giuridiche che punta a intro­durre nel

nostro ordinamento e per il mo­do in cui persegue questo fine

dichiara­to, appunto, sin dal titolo.

Il primo allarme viene fatto suonare dal­l’incipit del titolo della

bozza – «Misure contro gli atti persecutori» – e cioè

dal­l’importazione nel codice penale italia­no del cosiddetto reato di

molestia gra­ve e insistente ( stalking). Un’operazione purtroppo

condotta all’insegna di un’in­determinatezza che disorienta e

sgo­menta. La norma, se davvero venisse va­rata, punirebbe infatti

«chiunque reite­ratamente, con qualunque mezzo, mi­naccia o molesta

taluno in modo tale da infliggergli un grave disagio psichico» o

arriva a «pregiudicare in maniera rile­vante il suo modo di vivere».

Come s’in­tuisce facilmente, le possibili applica­zioni di una simile

vaghissima norma su­gli «atti persecutori» sono tante, troppe. Si va

dalla situazione in cui un corteg­giatore asfissiante importuna una

mal­capitata a quella di un capo ufficio che impartisce disposizioni,

soggettivamen­te male accolte, a un suo dipendente. Ma si potrebbe

anche arrivare – perché no? – alla condizione di «infelicità»

procura­ta a un ‘sottoposto’ da chi applica una qualunque forma di

disciplina (regole as­sociative, obblighi e doveri legati a un

particolare status).

Il secondo allarme nasce da un vizio a­nalogo a quello di cui ci

siamo appena oc­cupati – la genericità – rafforzato da una dose d’urto

di malizia legislativa. La se­conda parte del titolo del testo

unificato – «(Misure) contro la discriminazione fondata

sull’orientamento sessuale o sul­l’identità di genere» – è, del resto,

elo­quente. E il senso complessivo dell’arti­colo 3 è scoperto:

l’obiettivo ideologico perseguito è infatti l’introduzione

nel­l’ordinamento italiano del concetto fi­nora sconosciuto di gender

( genere), ren­dendolo sostanzialmente equivalente a «orientamento

sessuale», e di creare la base per sostituirlo a quelli di «uomo»,

«donna» e «sesso». Puntando, per di più, a equipararlo a «razza»,

«etnia», «nazio­ne » e «religione».

La malizia sta nel mezzo prescelto. Una regola orientata, secondo un

sentimen­to giustamente condiviso, a sanzionare intollerabili atti di

violenza e di discrimi­nazione compiuti, per motivi di ordine

sessuale, contro la persona viene fatta e­volvere in una norma posta a

presidio di una pretesa categoria discriminata (gli o­mosessuali). Ma

la malizia sta anche nel­la strumentalità di tutto questo. Sembra

quasi – e senza quasi – che si voglia for­giare un grimaldello in

grado di spalan­care altre porte legislative. E che si pre­tenda di

farlo, in forza di legge, nel nome della «categoria» sostituita alla

«perso­na », del «genere» dissociato dal «sesso biologico» ovvero

dell’opzione culturale sovraordinata alla natura.

C’è da augurarsi che in Commissione Giustizia della Camera, e non

solo lì, ci si ripensi. Che si corregga seriamente il ti­tolo, e si

riveda saggiamente il testo.

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