martedì 28 agosto 2007

PEGAH, LONDRA RINVIA (di nuovo) IL RIMPATRIO IN IRAN

dal sito dell'unità

Almeno un centinaio di persone si sono radunate davanti alla sede dell’ambasciata britannica a Roma per il sit-in a sostegno di Pegah Emamabakhsh, l'iraniana condannata a morte dalle autorità di Teheran perché lesbica. Negli ultimi giorni diversi esponenti del governo italiano avevano manifestato la propria solidarietà: in un comunicato, il ministro per le Pari opportunità Barbara Pollastrini ha annunciato il rinvio del provvedimento di espulsione della donna, che dal 2005 si trova in Gran Bretagna. Il segretario generale di Arcigay, Aurelio Mancuso, ha ringraziato il governo italiano per il suo impegno nella vicenda e ha annunciato un incontro martedì mattina con l’ambasciatore britannico a Roma, Edward Chaplin, al quale sarà presente anche il ministro per le Politiche ambientali Alfonso Pecoraro Scanio. «All' incontro - ha detto il capogruppo dei Verdi alla Camera, Angelo Bonelli - parteciperà anche il presidente di Arcigay. Il caso di Pegah è molto grave: quando nei confronti dell’Iran ci sono in gioco interessi economici, si arriva a parlare di embargo; in questo caso, invece, c'è voluto un movimento dal basso e la grande sensibilità del governo italiano». «Il fatto che l'espatrio di Pegah sia stato perlomeno posticipato è senz'altro un'ottima notizia», fa sapere Ivana Bartoletti, responsabile Diritti Civili dei Ds. « Mi auguro che l'Inghilterra sia disposta a sostenere Pegah, accogliendo il suo desiderio di vivere libera - continua l'esponente Ds -. Qualora così non fosse allora l'Italia dovrà essere pronta ad accoglierla offrendole asilo politico. La libertà delle persone, così come il valore dell'autonomia e della vita sono valori irrinunciabili per la politica, per le istituzioni, per l'Europa». «Rinnovo il mio impegno perché il nostro paese conceda a questa donna l'asilo politico», ha scritto il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero agli organizzatori e ai partecipanti al sit-in. «Il diritto di Pegah Emambakhsh a vivere e amare come vuole – ha sottolineato il ministro - va garantito, come vanno garantiti i diritti di tutte e tutti: il diritto alla libertà, alla felicità e a vivere la propria vita come ciascuno desidera, in modo libero e sereno. La sua battaglia è una battaglia di libertà e di civiltà che riguarda tutti e di cui tutti si devono sentire parte in causa». Per Ferrero «la mobilitazione che si è realizzata a difesa dei diritti di Pegah Emambakhsh sembra aver già indotto le autorità inglesi a rinviare il rimpatrio della donna in Iran, ora si tratta di intervenire perché la sua vita non sia più in pericolo».

Pubblicato il: 27.08.07
Modificato il: 28.08.07 alle ore 13.03

domenica 26 agosto 2007

PULIZIA ETNICA CONTRO I CULATTONI

Pulizia etnica contro i culattoni"...

lo afferma Giancarlo Gentilini, già famoso per frasi del tipo:
«I perdigiorno extracomunitari bisognerebbe vestirli da leprotti per fare pim pim pim col fucile»
"Siamo in guerra, i gommoni degli immigrati devono essere affondati a colpi di bazooka. Occorre puntare ad altezza uomo"
...dei cigni extracomunitari da eliminare, delle panchine asportate per non far sedere gli immigrati,
del "nero, il colore della vergogna"... ecc., ecc., ecc.

Persino l'omofobo Calderoli ha disapprovato le ultime dichiarazioni del suo collega di partito Gentilini.In questo momento storico non possiamo permetterci il lusso di ignorare l'incitamento all'odio razziale, religioso, culturale, sessuale, sociale di chi dell'inneggiamento alle divisioni ha fatto la propria propaganda "politica" e siede sulle poltrone della rappresentanza "democratica". Per evitare il dilagare degli episodi di intolleranza e odio che aumentano ogni giorno anche a causa di queste persone, ti chiedo di

FIRMARE ANCHE TU L'APPELLO PER DESTITUIRE GENTILINI DALLA CARICA PUBBLICA e CHIEDERE A QUESTO GOVERNO L'EMANAZIONE DI UNA LEGGE CONTRO LE DISCRIMINAZIONI

consulta il sito: http://www.interculturale.org/pages/gentilini.html

leggi l'appello: http://www.interculturale.org/pages/appello.html

e firma la petizione on-line> http://www.petitiononline.com/genty/petition.html

Fai girare questa petizione. E' un atto che non costa nulla ma contribuisce a migliorare questo mondo.
www.interculturale.org

sabato 25 agosto 2007

SARANNO RISPETTATE LE TRE LEGGI SULLA ROBOTICA?

articolo di Alberto Q.L.(http://informationfordummies.ilcannocchiale.it/) 23 aprile 2007

Dando un rapido sguardo ai progetti nel settore militare dei vari stati del mondo, le 3 leggi della robotica (nota in fondo al post), scritte da Isaac Asimoov, non saranno rispettate. Infatti, molti governi stanno stanziando ingenti fondi per creare macchine da guerra automatizzate che andranno a sostituire i soldati in carne e ossa.
Gli Stati Uniti, che già hanno utilizzato in Iraq e inAfghanistan i cosiddetti "Predator", piccoli velivoli, in grado di scattare foto e riprendere video,ma anche di sparare missili, acquistati anche dall’Italia,hastanziato ben 127 miliardi di dollari, sotto l’amministrazione Bush, per il programma FCS (FutureCombat System), alla quale sta lavorando la Boeing incollaborazione col Giappone: verranno creati soldati robot, che andranno a formare battaglioni veri e propri.La Corea dovrebbe farentrare in funzione nel 2007 i primi droni armati, sviluppati dalla Samsung e l’universitàdella Corea. Essi saranno armati di mitragliatrice automatica, divisore notturno e potranno parlare per intimare al sospetto dicessare azioni ostili. Inoltre saranno implementati di unsofisticato sistema riconoscimento delle forme che dovrebbe fardistinguere all’automa ciò che è animato da tutto ilresto. Israele presto si doterà di un nuovo esercito automatico, composto da quelli chevengono chiamati rudimentali “Terminator”, veicoli gestiti daremoto capaci di distruggere il loro obbiettivo, e da droni aerei. Inoltre le postazioni diguardia verranno sostituite da postazioni multifunzione in grado didifendere il territorio analizzandolo attraverso dei sensori.L’Australia sta portando avanti unprogetto, che dovrebbe terminare in 7 anni, di realizzazione di robot militari, addetti non solo alladifesa della zona, ma in grado anche di attaccare.
Questo è parte dello scenario mondiale, che potrebbe sembrare fantascientifico, ciò che si potrebbe vedere in film come "Io, Robot", e, invece, purtroppo è una realtà che si fa sempre più vicina, mentre i dibattiti etici sull’utilizzo di questa tecnologia per scopi bellici sono solo all’inizio.
I sostenitori di questi progetti dichiarano che una volta raggiunto un livello avanzato di ricerca in questo campo ne trarremo tutti beneficio: l’impiego dei robot porterebbe a una sostanziosa riduzionedelle spese nel settore militare, poichè gli automi costerebberomolto meno dei soldati umani, e a un minor rischio di quest’ultimi, in quanto essi potrebbero agire sempre in retrovia, comandandoda remoto gli automi, che svolgeranno il loro compito in modo perfetto.Ma siamo veramente sicuri che vi siano più pro che contro? Le preoccupazioni, non tanto irreali, sono che queste macchine saranno programmateper uccidere, e quindi potrebbero essere sfruttate anche da terroristi. Inoltre, per quanto possano essere evoluti, si pensa che potrebbero commettere errori nel distinguere nemici da semplici civili. In risposta a questo problema alcuni affermano che dovrebbero essere semprecontrollati dall’uomo. Ma ciò non risolve il problema, inquanto i robot acausa di un malfunzionamento, potrebbero perdere il controllo e iniziare adattaccare indistintamente tutto ciò che si trova nel loro raggio di azione, per non dire dei possibili errori umani.
Mentre si alimenta il dibattito su queste questioni, la ricerca va avanti indisturbata.
Viene spontaneo da chiedersi:Sono veramente queste le priorità che il mondo odierno deve porre? Perchè l’uomo ha sempre bisogno di dar sfogo ai suoipropositi distruttivi?Purtroppo gli uomini che stanno al potere non si pongono questi quesiti e vanno avanti col processo di autodistruzione, confermando la profezia di Italo Svevo, ovvero che il mondo di macchine creato dall’uomo sarà distrutto da lui stesso con l’uso di una di esse.
Nota: Le 3 Leggi della robotica:
Un robot non può recare danno a un essere umano, né può permettereche, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.
Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.
Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima e la Seconda Legge.

STEREOTIPI SESSISTI DA VANITY FAIR A LA REPUBBLICA



























Dal blog di Monica66 (168) - Sabato, 25 Agosto 2007 - 2:20pm (Fai Notizia, Radio Radicale)
articolo di Monica Amici

Qualcuno si è accorto che gli stereotipi in voga stanno pericolosamente e sempre più facendo scivolare la nostra società, e le donne in particolare, in un preoccupante medioevo?
Qualcuno ha notato questa?

[http://www.style.it/cont/vanity-fair/home-vanity-fair.asp]

Mi riferisco al contenuto della copertina visibile sulla sinistra della pagina, all’interno della stessa osservate l’immagine e la scritta in basso a destra, notare il sapiente utilizzo di caratteri di stampa differenti e di punteggiatura.
Qualcuno ricorda lontani paesi in cui l’avere figlie femmine fosse, e forse è ancora, ahimè, una disgrazia?
E qualcuno mi spiega perché l’essere fortunato, oltre ad essere maschio, significhi avere “una mamma che vuole fare la mamma” e non piuttosto una mamma che, madre per natura ed intimo viscerale istinto, poi voglia invece cambiare il mondo, scoprire la cura per l’AIDS, o diventare una scrittrice di fama internazionale?
E che dire della pagina della cultura di La Repubblica di venerdì?
Titola DOVE SONO FINITE LE DONNE
Negli occhielli:
La scomparsa del genere ha molte implicazioni, non solo sessuali ma anche filosofiche.
Dalle casalinghe inquiete degli anni ‘60 alla femminilità in stile Michela Brambilla.
Al centro pagina un fumetto con l’immagine di una Cenerentola pensosa al centro di due scenari temporali, il presente a sinistra il passato a destra, ma immancabile, allacciato alla sua vita, il grembiule. (non sono riuscita a trovare un link con l’immagine)
Le prime righe dell’articolo: “Stanno scomparendo le donne..” (il resto, rispetto alla scelta strategica di immagini, titoli ed occhielli, stando anche allo spazio complessivo della pagina che occupavano, non mi è parso di rilievo)
Mi verrebbe da chiedere dove le stiano cercando. Inizio a sentirmi preoccupantemente sola, se non conoscessi personalmente tante donne “donne”, leggendo i giornali e guardando la televisione, penserei si stiano veramente estinguendo nella loro perversa evoluzione da casalinghe inquiete al modello femminilità Brambilla… Forse sono in via di estinzione e non me ne sono ancora accorta! Devo chiedere al WWf se le superstiti abbiano diritto a specifiche tutele.
Si potrebbe concludere, se ho capito bene, che le cose vadano bene quando i figli sono maschi e le mamme vogliono fare le mamme, e che invece vadano male quando spariscono le “Cenerentole”, di ieri come di oggi.
Monica Amici

LUNEDì 27 AGOSTO UNA DONNA VERRà MANDATA AL PATIBOLO PERCHè LESBICA

ROMA 27 AGOSTO 2007: SIT IN PER PEGAH

Arcigay e Arcilesbica, congiuntamente al Gruppo EveryOne, lanciano un appello affinché a Pegah Emambakhsh, la lesbica iraniana (40) rifugiatasi a Sheffield (Regno Unito) che rischia la pena di morte nel suo Paese d'origine, venga concesso immediatamente l'asilo politico definitivo.Al Governo del Regno Unito, che si ostina a negarle questo diritto fondamentale con motivazioni assurde e pretestuose, e ha emanato l'ennesimo decreto d'espulsione per il 28 agosto (volo British Airways numero BA6633 delle 21.35 diretto a Teheran), le due associazioni nazionali lgbt, con l'adesione del Gruppo EveryOne, rispondono con la convocazione di un Sit In di fronte all'Ambasciata Britannica a Roma in via XX settembre 80, prevista per lunedì 27 agosto 2007 dalle ore 18,30.La vicenda di Pegah Emambakhsh è l'ennesimo caso di violazione dei diritti umani da parte dei nostri governi. Le decine di migliaia cittadini, gli attivisti e i politici che hanno aderito all'appello per la sua vita lanciato in questi giorni dal Gruppo Everyone hanno ottenuto una proroga della deportazione al 28 agosto. Ma non illudiamoci, perché il governo sta solo aspettando che l'opinione pubblica si concentri su altri eventi per costringere Pegah a salire sull'aereo della morte. Deportazioni come quella riservata a Pegah si sono infatti già verificate, anche in tempi recenti, nel Regno Unito e negli altri paesi.

Aurelio Mancuso Presidente nazionale Arcigay
Francesca Polo Presidente nazionale Arcilesbica
Matteo Pegoraro, Roberto Marini per EveryOne
per adesione inviare a presidente@arcigay.it Aurelio Mancuso presidente@arcigay.it 335310659@tim.it
http://blog.libero.it/mancuso/

22/08/2007 - Comunicato stampa
Pegah Emambakhsh, lesbica iraniana di 40 anni, a causa della sua omosessualità rischia di essere condannata a morte dai giudici della Repubblica islamica dell'Iran.

Nel 2005 la sua compagna è stata arrestata, torturata e condannata a morte, Pegah si è rifugiata in Gran Bretagna, a Sheffield, dove ha chiesto asilo politico che le è stato negato in quanto, secondo il governo britannico, non può provare di essere lesbica.Il 13 agosto è stata arrestata ed ora è trattenuta all'interno del centro di accoglienza Yarlswood di Bedford, lunedì verrà imbarcata su un volo che la riporterà nel suo paese e quindi verso una condanna a morte certa.Il governo britannico sarà colpevole di questo omicidio quanto quello iraniano, il governo italiano e l'Europa tutta saranno complici in omicidio se non interverranno al più presto per impedire che Pegah Emambakhsh venga espulsa.Chiediamo al governo italiano di fare pressioni affinché questo non avvenga o di dare a Pegah asilo politico nel nostro paese.

Eva Mamini
Segreteria Nazionale ArciLesbica

venerdì 24 agosto 2007

SALVIAMO PEGAH EMAMBAKHSH DAL BOIA, ACCOGLIAMOLA IN ITALIA

Firma la petizione

Scritto da Redazione no more word
venerdì 24 agosto 2007

In un momento nel quale il mondo è attraversato dalla tentazione di stringere il cappio della lotta al terrorismo intorno al fragile collo dei diritti umani colpisce come paesi considerati esempio nella difesa dei diritti possano prendere una così drammatica decisione come quella presa dal governo inglese di rispedire Pegah Emambakhsh, la ragazza iraniana “colpevole” di essere lesbica di cui parliamo in questo articolo, in Iran dove rischia la pena di morte.
Noi ci opponiamo con forza a questa logica della “rinuncia ai diritti in cambio di meri interessi” e chiediamo al Governo italiano di farsi carico “per ragioni umanitarie” di Pegah Emambakhsh e di chiedere alla Gran Bretagna che la ragazza venga imbarcata prima possibile su un aereo per Roma. E’ arrivato il momento di ribadire con forza il concetto che certi atteggiamenti volti al calpestamento dei diritti umani sanciti dalla dichiarazione universale non possono più essere tollerati in un paese che si dichiari essere civile.

L’inciviltà dimostrata in questo caso dalla Gran Bretagna è pari solo a quella dei mullah iraniani e rende il governo inglese complice attivo delle leggi antidemocratiche vigenti in questo momento in Iran. Il fatto che non venga riconosciuto a Pegah la condizione di richiedente asilo non solo è un atto contro la Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati (firmata anche da Londra) ma è un atto di estrema crudeltà civile in quanto si conosce il destino che attende la ragazza una volta arrivata a Teheran.
Per questo lanciamo una petizione online per chiedere al governo italiano di provvedere con urgenza a richiedere a Londra la custodia di Pegah Emambakhsh per ragioni umanitarie, chiediamo all’Italia di farsi portavoce dei diritti umani. Se la Gran Bretagna non la vuole ce la prendiamo noi in barba agli editti e alle fatwe. Vogliamo che venga riconosciuto a Pegah Emambakhsh il diritto di essere lesbica e di vivere una vita normale.
Le firme raccolte verranno inviate (usando la tecnica ormai collaudata con la vicenda di Kassim Britel) in un CD al Ministero degli Esteri Italiano, al Foreign Office inglese e al Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu a Ginevra.


Per aderire alla petizione clicca qui


Alle 15 abbiamo superato le 1.600 adesioni

PEGAH EMAMBAKHSH RISCHIA LA LAPIDAZIONE

tratto da TAMLES
23 agosto 2007

(AGI) - Londra, 21 ago. - Il governo del Regno Unito ha deciso la deportazione di Pegah Emambakhsh, la lesbica iraniana fuggita dal suo Paese perche' rischia la lapidazione. Secondo l'associazione EveryOne, in contatto con l'avvocato della donna, il volo che la riportera' nella Rebubblica islamica decollera' giovedi'.
Pegah Emambakhsh, quarant'anni, scappo' dall'Iran attraverso la Turchia nel 2005. Della sua compagna, arrestata in Iran, non si hanno piu' notizie. Una volta in Gran Bretagna, chiese l'asilo politico. Il suo caso, afferma Matteo Pegoraro di EveryOne, ha preso "una svolta imprevista".
"Abbiamo brutte notizie che ci giungono da una fonte vicinissima a Pegah, detenuta a Yarlswood (Sheffield). Le autorita' del Regno Unito hanno deciso di compiere un atto di forza, in dispregio di ogni diritto umano e di anticipare la partenza di Pegah verso l'Iran. Il Governo britannico e' in procinto di deportarla in Iran il 23 agosto, con il volo diretto per Teheran della British Airline BA6633, che partira' alle 21.55 dall'aeroporto Heathrow", ha continuato Pegoraro.
Il caso di Pegah richiama alla mente quello di una lesbica iraniana, ventisettenne, la cui espulsione venne bloccata nel 2006 dal tribunale di Stoccarda. La donna era priva dei requisiti per la concessione dell'asilo ma i giudici ingiunsero all'Ufficio federale per gli Immigrati e i profughi di non emettere un provvedimento di espulsione. "farla rientrare in patria", dissero, "la metterebbe a rischio".
Quanto a Pegah, ricevere asilo e' "un suo diritto", hanno affermato da EveryOne. "Non permettiamo -hanno aggiunto gli attivisti- che i governanti del Regno Unito si macchino dell'omicidio di una donna innocente e trasformino il diritto internazionale nella legge del piu' forte e del piu' cinico".

mercoledì 22 agosto 2007

CONTRO LA CENSURA A FAVORE DI ARTE E CULTURA

articolo di Andrea Gervasi

LA CENSURA NELLE OPERE DI ANIMAZIONE GIAPPONESE

Quello della censura nelle opere d'animazione giapponese è un argomento che sta particolarmente a cuore a chi come me, nato negli anni settanta, è cresciuto in compagnia di cartoni animati come Lupin III, ma che coinvolge l'intero paese e non soltanto nostalgici e fans, se è vero come è vero che se ne è occupato anche il Palazzo: la Commissione Minori-Tv della Presidenza del Consiglio ha varato in materia un apposito testo di autoregolamentazione molto restrittivo (26 novembre 1997), sottoscritto sia dai responsabili delle varie emittenti nazionale che dall'allora Presidente del Consiglio Romano Prodi. Psicologi e genitori combattono ormai da anni un'aspra battaglia contro i cartoni animati, soprattutto quelli provenienti dal Giappone, accusandoli di essere troppo violenti e di condizionare negativamente il comportamento dei bambini, facilmente influenzabili vista la loro giovane età; in questo loro atteggiamento pregiudiziale hanno validi alleati sia nella stampa (i giornalisti sono i primi a cavalcare l'onda di proteste e di ingiustificati pregiudizi dell'opinione pubblica: leggi 'comitato genitori') che all'interno dei network stessi: i responsabili delle reti nazionali sono infatti ben contenti di poter "adattare" le serie provenienti dai paesi stranieri modificandole fino a renderle un prodotto totalmente diverso dall'originale ma più consono ai fini economici di cui sono portatori. Ho volutamente messo tra virgolette il termine in quanto il significato di fondo di un adattamento è semplicemente quello della trasposizione in italiano delle opere di lingua straniera, altrimenti incomprensibili. Attualmente l'indirizzo prevalente è invece quello di autoattribuirsi un arbitrario diritto di censura in nome della difesa dei minori, uno stratagemma che rende possibile trasformare completamente una serie animata attraverso l'abile utilizzo di quattro tecniche che ne minano l'originalità ed il senso generale voluto dall'autore: taglio e rimontaggio di interi episodi, modifica o sostituzione di nomi, dialoghi e colonne sonore originali, alterazione della normale e logica successione degli episodi e soprattutto eliminazione di qualsiasi riferimento alla cultura orientale.La mia riflessione parte da un dato di fatto ormai assodato. I cartoni animati sono considerati prodotti di serie B per bambini ma la realtà è ben altra: essi rispecchiano come ogni altra opera audiovisiva la cultura, le tradizioni e i costumi del paese dal quale provengono (nell'episodio di Lupin III "108° rintocco della campana" Goemon racconta ad esempio una leggenda giapponese secondo cui colui che saprà rinunciare ai desideri materiali - 108 appunto -, come quello di dormire con le donne, diventerà santo) e le arbitrarie censure che gli adattatori italiani continuano ad infliggere ai cartoni animati rappresentano senza ombra di dubbio una palese violazione del diritto d'autore, rispettato invece per altre opere ritenute più nobili (in primis il film) e protette con apposite leggi. La serie Lupin III a cui ho fatto riferimento è un esempio altamente illuminante. Da un lato é nella sua versione originale un magnifico veicolo di cultura nipponica (specialmente per quanto riguarda la prima serie, ambientata in Giappone) simboleggiata dallo stile di vita filosofico tipicamente orientale del samurai Goemon in continua meditazione sul senso della vita, dai numerosi riferimenti all'invadenza del mondo occidentale e dalla paura sempre viva della bomba atomica: in più di un'episodio e persino nella prima pellicola cinematografica (Mamoo, 1978) Lupin salva il mondo dalla distruzione totale. Dall'altro é anche una serie facilmente recepibile dal pubblico europeo per la caratterizzazione spiccatamente occidentale del personaggio principale, eterno donnaiolo alla James Bond che trascina la propria banda di ladri in uno sfarzoso mondo fatto di lusso estremo, macchine sportive, gioco d'azzardo e pericolo. Ebbene, la serie trasmessa in Italia risulta oggi irriconoscibile: è stata una delle opere d'animazione giapponese che maggiormente ha subito violenza dal bisturi della censura. Monkey Punch, ideatore e autore di Lupin III, aveva realizzato le tavole del fumetto (perché non dobbiamo dimenticare che Lupin III nacque come fumetto erotico-avventuroso il 10 agosto 1967) con un tratto stilistico volutamente "macchiaiolo" proprio per scoraggiarne una sua eventuale trasposizione in cartone animato che temeva ne potesse compromettere l'originalità e il taglio adulto. La prima serie tv (ambientata in Giappone) è stata forse l'unica trasmessa in Italia ad aver conservato abbastanza fedelmente, almeno al primo passaggio televisivo sul finire degli anni settanta (Italia 1), le atmosfere noir e le comiche digressioni sessuali del manga: da allora gli adattamenti Fininvest-Mediaset hanno fatto perdere ogni riferimento al progetto originale trasformando una serie adulta in un cartone animato dai tratti molto infantili operando tagli ad ogni scena violenta o sexy (queste ultime sempre molto soft).Ritengo sicuramente indispensabile la tutela dei minori durante la fase fondamentale della crescita che concorre alla formazione della loro personalità ma questo è un problema di diversa natura. La maggior parte delle serie animate giapponesi non sono infatti prodotti indirizzati al mondo dell'infanzia ma opere specificatamente pensate e realizzate per un pubblico giovanile identificabile in una fascia di età compresa tra i 15 e i 30 anni: il nocciolo della questione riposa quindi nelle errate scelte di programmazione televisiva che per motivi strettamente economici riservano alle varie serie d'animazione giapponese fasce orarie in netto contrasto con l'originale spirito dell'opera. I tagli e le censure che risultano conseguentemente necessarie violano non soltanto il diritto d'autore ma la stessa libertà del telespettatore di vedere l'opera nella versione integrale cui gli autori hanno dedicato mesi, più spesso anni, del proprio lavoro.L'appello che mi sento di rivolgere ai media televisivi, consapevole di avere la solidarietà di numerosi intellettuali e associazioni che da anni si battono contro la censura (ricordo in particolare l'ADAM, organismo internazionale con sede anche in Italia), è quello di una loro più attenta e profonda valutazione del mondo dell'animazione e di una costruttiva collaborazione con rappresentanti del settore cartoon che porterebbe sicuramente una ventata di novità ed il fondamentale il rispetto della cultura e dell'arte in ogni loro forma, troppo spesso sacrificate alle logiche dell'economia di mercato nonostante le tanto propagandisticamente sbandierate idee di globalizzazione e multietnicità.
PREMESSO QUESTOHo deciso di passare all'azione. Sono veramente stanco di vedere opere di autori come Monkey Punch e Hayao Miyazaki trattate come carne da macello. E' ora che anche noi di Lep, e tutti voi che ci seguite ormai da anni e siete affezionati a Lupin e a tanti altri personaggi dell'animazione giapponese, cominciamo a darci da fare affinché l'attuale situazione non peggiori ancora di piu'. Ho cominciato con il chiedere ad un mio amico avvocato di procurarmi le leggi dello stato italiano relative alle trasmissioni televisive (tagliare un'opera audiovisiva viola in modo evidente il diritto d'autore) e forse posso riuscire ad avere qualche contatto con il mondo della politica. Ho intenzione di mandare la lettera che avete letto in questa pagina a tutti i giornali, nazionali e locali. Ho già cominciato e prego tutti voi di inviarmi l'indirizzo, il numero di fax o l'email della redazione delle testate locali della regione in cui vivete. Ogni suggerimento sarà accolto con piacere.

Andrea Gervasi

domenica 19 agosto 2007

Quando le nostre labbra si parlano Luce Irigaray

"Quand nos lèvres se parlent" nel 1976 in Cahiers du Grif, no.12, p. 23-28, tradotto da Luisa Muraro e pubblicato nell'antologia di saggi di Luce Irigary "Questo sesso che non è un sesso" (Milano: Feltrinelli, 1978 e1990)

Se continuiamo a parlarci lo stesso linguaggio, finiremo per riprodurre la stessa storia. Ricominciare le stesse storie. Non lo senti? Ascolta: intorno a noi gli uomini e le donne, si direbbe che è uguale. Stesse discussioni, stessi litigi, stessi drammi. Stesse preferenze, e poi rotture. Stesse difficoltà, impossibilità di trovarsi. Sempre lo stesso...
Se noi continuiamo a "parlare il medesimo", se ci parliamo come gli uomini si parlano da secoli, come ci hanno insegnato a parlare, non c'incontreremo. Ancora... Le parole passeranno attraverso i nostri corpi, sopra le nostre teste, per andare a perdersi, a perderci. Lontano, in alto. Assenti da noi: intessute di parole, tessuti parlanti. L'involucro è appropriato, ma non è nostro. Involtate, o violate, nei nomi propri. Non il tuo né il mio. Noi non ne abbiamo. Cambia, ogni volta che ci scambiano, a seconda che ci usano. Dicono che siamo vogliose d'essere cosi mutevoli, permutabili da loro.
Come toccarti se tu non ci sei? Se il tuo sangue è passato a loro, diventando senso? Loro possono parlarsi, anche di noi. Ma noi ? Esci dal loro linguaggio. Prova a riattraversare i nomi che ti hanno dato. Ti aspetto, mi aspetto. Ritorna. Non è difficile. Rimani qui e non ti astrai in scene già recitate, in frasi già dette e ridette, in gesti già conosciuti. In corpi già codificati. Cerchi di stare attenta a te stessa. A me. Senza lasciarti distrarre dalla norma, o dall'abitudine.
Per esempio: ti amo, normalmente o abitualmente si rivolge ad un enigma: un altro. Un altro corpo, un altro sesso. Io amo: non so bene chi, che cosa. Io amo si spande, si perde, affoga, brucia, finisce in un vuoto profondo. Bisognerà aspettare il ritorno dell "io amo". A volte per molto tempo, a volte per sempre. Dov'è passata "io amo"? Dove sono divenuta? Io amo spia l'arrivo dell'altro. Mi ha mangiata? Respinta? Presa? Lasciata? Rinchiusa? Espulsa? Com'è lui adesso? E' un po' me? Quando mi dice: ti amo, mi rende? O è lui che si dà sotto questa forma? La sua? La mia? La stessa? Un'altra? Ma allora dove sono divenuta?
Quando dici ti amo - restando qui, vicina a te, a me - tu dici mi amo. Non c'è da aspettare che questo ti sia reso, e nemmeno io. Non ti devo niente, non mi devi niente. Questo ti amo non è un dono né un debito. Tu non mi "dai" niente toccandoti, toccandomi: ritoccandoti in me. Non ti dai. Che farei di te, di me, se fossi(mo) ripiegata/e sul dono? Tu ti/mi conservi così come ti/mi spandi. Tu ti/mi contieni così come ti/mi confidi. Queste alternative, opposizioni, scelte, mercati, non hanno corso, tra noi. A meno di ripetere il loro commercio, di restare nella loro economia. Dove noi non ha luogo.
Ti amo: corpo spartito. Senza tagli. Senza te né me staccati. Non c'è sangue versato o da versare, tra noi. Non c'è bisogno di piaghe per ricordarci che il sangue esiste. Scorre in noi, da noi. Il sangue ci è familiare. Il sangue: vicino. Sei tutta rossa. E così bianca. L'una e l'altra. Diventando rossa non perdi il tuo candore. Sei bianca per non esserti allontanata dal sangue. Da noi, bianche pur restando rosse, nascono tutti i colori: rosate, brune, bionde, verdi, celesti... Perché questo bianco non è sembianza. Sangue morto. Sangue nero. Nero della sembianza. Che assorbe tutto per tentare di riprendere vita. Invano... Il candore del rosso non prende niente. Rimanda come riceve. Luminoso, senza autarchia.
Luminose, noi. Senza una, né due. Non sono mai riuscita a contare. Fino a te. Saremmo due, secondo i loro calcoli. Due, veramente? Non è da ridere? Strano due. Però non una. Soprattutto non una. L'uno, che se lo tengano. Il privilegio, il dominio, il solipsismo dell'uno: anche del sole. E la strana suddivisione delle loro coppie, dove l'altro è immagine dell'uno. Immagine soltanto. Andare verso l'altro è come essere attratti dallo specchio. Specchio (appena) vivo. Superficie di ghiaccio. Muta. E' più fedele. Lavoro sfibrante del doppiaggio, dell'imitazione, in cui s'esauriscono i movimenti della nostra vita. Destinate a riprodurre. Un medesimo nel quale siamo da secoli: gli altri.
Ma come dire altrimenti ti amo? Ti amo, mia indifferente? Così ci pieghiamo al loro linguaggio. Per distinguerci, ci hanno lasciato le lacune, i difetti. Il negativo. Dovremmo essere - già questo è troppo - delle indifferenti.
Indifferente, rimani calma. Se ti muovi disturbi il loro ordine. Fai cadere tutto. Rompi il giro delle loro abitudini, il circuito dei loro scambi, del loro sapere, del loro desiderio. Del loro mondo. Indifferente non devi muoverti né commuoverti se non sono loro a chiamarti. Se dicono "vieni" allora puoi farti avanti. Un po'. Sistemandoti secondo il bisogno che hanno o non hanno di vedersi davanti la loro immagine. Uno o due passi. Nient'altro. Niente esuberanze o turbolenze. Sennò rompi tutto. La liscia superficie. La loro terra, la loro madre. La tua vita? Devi averne la sembianza, fare finta: di riceverla da loro. Piccolo ricettacolo indifferente, sottomessa alle loro pressioni, unicamente.
Dunque, noi saremmo indifferenti. Non ti fa ridere? Almeno così, di primo acchito? Indifferenti, noi? (Se ti metti a ridere ogni momento e dovunque, non potremo mai parlarci. E saremo ancora inv(i)olate nelle loro parole. Allora, ricomponiamoci un po' per provare a dire.) Non differenti, è vero. Insomma... Sarebbe troppo semplice. E quel "non" ci separa ancora per misurarci. Così disgiunte, nessun noi. Simili? Se si vuole. Un po' astratto. Non capisco bene: simili. Tu capisci? Simili agli occhi di chi? In funzione di che cosa? Quale unità di misura? Quale terzo termine? Ti tocco, mi basta per sapere che sei il mio corpo.
Ti amo: le nostre due labbra non possono separarsi per lasciar passare una parola. Una sola parola che direbbe te o me. O: uguali. Chi ama, chi è amata. Esse dicono - chiuse e aperte, senza che l'una escluda mai l'altra - l'una e l'altra si amano. Insieme. Per produrre una parola esatta, dovrebbero tenersi scostate. Nettamente scostate l'una dall'altra. Distanti l'una dall'altra, e tra loro una parola.
Ma da dove verrebbe questa parola? Tutta corretta, ben fatta, piena di senso. Neanche una fessura. Tu. Io. C'è di che ridere... Senza fessura, non sarebbe più te né me. Senza labbra, non sarebbe noi. L'unità delle parole, la loro verità, le loro proprietà, non hanno labbra. Labbra dimenticate. Le parole sono mute, quando sono state dette una volta per tutte. Rifinite come si deve, perché non perdano il loro senso - il loro sangue. Come i figli dell'uomo. Non i nostri. E, d'altronde, che bisogno o desiderio abbiamo di figli? Qui ora: vicine. Gli uomini, le donne, fanno dei figli per dare corpo alla loro vicinanza, alla loro lontananza. Ma noi?
Ti amo, infanzia. Amo te che non sei madre (scusa, madre mia, ti preferisco una donna) né sorella. Né figlia o figlio. Ti amo - e che m'importano là dove ti amo le discendenze dei nostri padri e i loro desideri di sembianze d'uomo. E le loro istituzioni genealogiche - né marito né moglie. Nessuna famiglia. Nessun personaggio, ruolo, funzione - le loro leggi riproduttive. Ti amo: il tuo corpo là qui ora. Io/tu ti/mi tocchi, può bastare perché ci sentiamo vivere.
Apri le tue labbra, non aprirle semplicemente. Non le apro semplicemente. Tu/io non siamo né aperte né chiuse. Mai ci separiamo, semplicemente: non si può dire una sola parola. Essere prodotto, uscito dalle nostre bocche. Tra le tue/mie labbra tanti canti, tanti dire sempre si rispondono. Senza che mai uno, una sia separabile dall'altra. Tu/io: fanno sempre tanti alla volta. E come uno, una, dominerebbe l'altra? Imponendo la sua voce, il suo tono, il suo senso? Esse non si distinguono. Non significa che si confondano. Non ci capite niente? Neanche loro capiscono voi.
Parla ugualmente. Che il tuo linguaggio non abbia un unico filo, un'unica sequenza, un'unica trama, è la nostra fortuna. Viene da ogni parte. Mi tocchi in ogni parte. In tutti i sensi. Un canto, un discorso, un testo, tutti in una volta, perché? Per sedurre, colmare, coprire uno dei miei "buchi"? Non ne ho con te. Le crepe, i vuoti che invocherebbero dall'altro sussistenza, pienezza, completezza, non siamo noi. Che per le nostre labbra siamo donne, non vuol dire che mangiare, consumare, riempirci sia quello che cerchiamo.
Baciami. Due labbra baciano due labbra: I'aperto ci è reso. Il nostro "mondo". Tra noi il passaggio da dentro a fuori, da fuori a dentro, non ha limiti. Non ha fine. Scambi che si allacciano senza chiudersi mai. Tra noi la casa non ha muri, il prato non ha recinto, il linguaggio non ha circolarità. Tu mi abbracci: il mondo è cosí grande che l'orizzonte si perde Insoddisfatte noi? Sí, se vuol dire che non siamo mai finite. Che il nostro piacere è di muoverci, commuoverci, continuamente. Sempre in movimenti: I'aperto non si esaurisce né si riempie.
Tanti dire, insieme, non ce l'hanno insegnato né permesso. Non è un parlare corretto. Certo potevamo -dovevamo?-esibire qualche "verità", e intanto sentirne, averne, tacerne un'altra. Il risvolto? Il complemento? Il resto? rimaneva nascosto. Segreto. Fuori e dentro, non dovevamo essere uguali. Non conviene al loro desiderio. Velare, svelare, non è la cosa che li attira? Che li tiene piú occupati? A ripetere sempre la stessa operazione. Ogni volta. Su ogni una.
Tu/io si sdoppia dunque per piacere loro. Ma cosí divise in due - una fuori, una dentro - tu non ti baci piú. Non mi baci piú. Fuori, cerchi di conformarti ad un ordine che ti è estraneo. Allontanata da te stessa ti confondi con tutto quello che ti si presenta. Mimi tutto quello che ti si accosta. Diventi tutto quello che ti tocca. Bisognosa di ritrovarti, non fai che allontanarti ancor piú da te. Da me. Assimilando un modello dopo l'altro, passando da un padrone all'altro, cambiando faccia, forma, linguaggio, a seconda di chi ti domina. Staccata(e). A forza di abusi, impassibile travestita. Non ritorni piú: indifferente. Ritorni. impenetrabile, chiusa.
Parlami. Non puoi? Non vuoi piú? Vuoi risparmiarti? Restare muta? Bianca? Vergine? Riservarti quella di dentro? Ma non esiste senza l'altra. Non ti lacerare cosí, in una scelta che ti è stata imposta. Non c'è, tra noi, nessuna rottura tra vergine e non vergine. Nessun avvenimento che ci farebbe donna. Molto prima di nascere già ti tocchi, innocente. Il sesso del tuo/mio corpo non ci viene da un'operazione. Dall'azione d'un potere, d'una funzione, d'un organo. Senza interventi o manipolazioni particolari sei già donna. Senza dover ricorrere all’esterno, già l'altra ti tocca. Inseparabile da te. Sei già, sempre e dovunque, alterata. Questo è il tuo delitto, che non hai commesso: disturbi il loro amore della proprietà.
Come dirti che nel tuo godere non c'entra il male, che gli è estraneo il bene? Che la colpa avviene soltanto quando, privata della tua fessura, su di te ormai chiusa possono iscrivere i loro possessi, praticare le loro effrazioni, rischiare le loro infrazioni, trasgressioni... E altri giochi della legge. Con cui speculano -- e tu? -- sul tuo candore. Se noi ci prestiamo, ci lasceremo ingannare, logorare. Distanti, indefinitamente, da noi, per aiutarli a raggiungere i loro scopi. Quello sarebbe il nostro compito. Se ci sottomettiamo alla loro ragione, allora siamo colpevoli. I loro calcoli - volutamente o no - mirano a renderci colpevoli.
Tu ritorni, divisa: non c'è piú noi. Divisa in rossa e bianca, nera e bianca, come ritrovarci? Ritoccarci? Tagliate, (s)partite, finite: il nostro godere si trova a dipendere dalla loro economia. Secondo la quale essere vergine significa non essere ancora contrassegnata per e da loro. Non ancora (resa) donna da e per loro. Non ancora marchiata dal loro sesso, dal loro linguaggio. Non ancora penetrata, posseduta da loro. Da conservarsi in un candore che sarebbe un'attesa, un niente, un vuoto senza di loro. Essere vergine: il futuro dei loro scambi, commerci e trasporti. La riserva per le loro esplorazioni, i loro consumi, i loro sfruttamenti. L'avvenire del loro desiderio. Non del nostro.
Come dirlo? Che noi siamo donne subito. Non abbiamo da esser rese tali, nominate per tali, consacrate e profanate come tali, da loro. Lo eravamo già, era già successo prima, senza il loro lavoro. E la loro storia (le loro storie) rappresenta(no) il luogo della nostra deportazione. Non che abbiamo un territorio per noi, ma la loro patria, con famiglia, focolare e discorso, ci imprigiona tenendoci al chiuso e impedendoci di muoverci. Di viverci. Le loro proprietà sono il nostro esilio. Le loro clausure, la morte del nostro amore. Le loro parole, il bavaglio delle nostre labbra.
Come parlare per uscire dai loro recinti, schemi, dalle loro distinzioni e opposizioni: vergine/deflorata, pura/impura, innocente/maliziosa... Come sbarazzarci di questi termini, liberarci dalle loro categorie, spogliarci dei loro nomi. Sgusciare, vive, dalle loro concezioni? Senza riserva, senza bianco immacolato che sostenga il funzionamento dei loro sistemi. Tu sai bene che non siamo mai finite ma che non ci baciamo se non siamo intere. Che la somma di tanti pezzi - di corpo di spazio, di tempo-interrompe il flusso del nostro sangue. Ci paralizza, ci irrigidisce, ci immobilizza. Più pallide. Quasi fredde.
Aspetta. Il mio sangue ritorna. Dal loro senso. Fa di nuovo caldo in noi. Tra noi. Le loro parole si svuotano. Esangui. Pelli morte. Mentre le nostre labbra tornano rosse. Si muovono, vogliono parlare. Stavi dicendo? Cosa? Niente. Tutto. Sì. Abbi pazienza. Dirai tutto. Comincia con quello che senti, adesso, subito. Il tutto verrà di seguito.
Ma non puoi anticiparlo, prevederlo, programmarlo. Il tutto non è progettabile. Controllabile. Tutto il nostro corpo si muove. Non una superficie che rimanga stabile. Non una figura o linea o punto, che restino fissi. Non una base che tenga. Ma nemmeno abissi. La profondità, per noi, non è una voragine. Dove non c'è crosta, non ci sono precipizi. La nostra profondità: lo spessore del nostro corpo, che si ritocca. Senza sopra sotto, diritto rovescio, davanti dietro, alto basso isolati. Senza spaccature né rotture.
Se tu/io esita a parlare, è perché abbiamo paura di non dire bene, vero? Ma cosa sarebbe bene o male? A che cosa ci conformeremmo parlando "bene"? In quale gerarchia, subordinazione, ci facciamo prendere? Perdere? Che pretesa è questa, di innalzarci in un discorso più valido? L'erezione, non è affare nostro: stiamo così bene sulle spiagge. Abbiamo tanti spazi da distribuirci. L'orizzonte per noi non ha mai finito di girare, sempre aperte. Distese, in una interminabile espansione, abbiamo tante voci da inventare per dire noi dovunque, anche nelle lacune, che il tempo non ci basterà. Il nostro giro non finirà mai, abbiamo tante dimensioni. Se vuoi parlare "bene", ti tendi, ti stringi, per salire. E tesa verso l'alto, ti allontani dall'illimitato del tuo corpo. Non ti elevare, ci lasci. Il cielo non è lassù, è tra noi.
E non ti contrarre sulla parola "giusta". Non c'è. Nessuna verità tra le nostre labbra. Tutto può andare bene. Tutto può essere scambiato, senza privilegi nè rifiuti. Scambiato? Tutto si scambia ma senza commercio. Tra noi, niente proprietari né acquirenti, niente oggetti determinati né prezzi. I nostri corpi si accrescono dal godere insieme. La nostra abbondanza è inesauribile: ignora la scarsità e l'opulenza. Nell'abbandono senza riserve e senza incetta, i nostri scambi sono interminabili. Come dirlo? Il linguaggio che conosciamo è così limitato...
Perché parlare, mi dirai tu? Sentiamo le stesse cose nello stesso momento. Le mie mani, i miei occhi, la mia bocca, le mie labbra, il mio corpo non ti bastano? Non è sufficiente quello che ti dicono? Potrei risponderti: sì. Ma sarebbe troppo semplice. Troppo detto per rassicurarti/ci.
Se non inventiamo un linguaggio, se non troviamo il suo linguaggio, il nostro corpo avrà troppo pochi gesti per accompagnare la nostra storia. Ci stancheremo degli stessi, lasciando il nostro desiderio latente, sofferente. Riaddormentate, insoddisfatte. E restituite alle parole degli uomini. I quali, sanno da tanto tempo. Ma non il nostro corpo. Sedotte, attirate, affascinate, estasiate del nostro divenire, resteremo paralizzate. Prive dei nostri movimenti. Immobilizzate, mentre siamo fatte per cambiare continuamente. Senza aver bisogno di balzare o di cadere. E - senza ripetizione.
Continua, senza affanno. Il tuo corpo oggi non è lo stesso di ieri. Il tuo corpo ricorda. Non occorre che tu ricordi. Che conservi, conti, capitalizzi l'ieri nella tu testa. Nella tua memoria? Il tuo corpo dice ieri in ciò che vuole oggi. Se tu pensi: ieri ero, domani sarò, tu pensi: sono un po' morta. Sii quello che diventi, senza attaccarti a quello che avresti potuto essere, a
quello che potresti essere. Senza essere mai fissata. Lasciamo le cose decisive agli indecisi. Noi non abbiamo bisogno del definitivo. Il nostro corpo, là qui ora, ci dà ben altra certezza. La verità è necessaria a quelli che si sono tanto allontanati dal loro corpo da averlo dimenticato. Ma la loro "verità" ci immobilizza, ci pietrifica, se non ce ne distacchiamo. Se non ne disfiamo il potere tentando di dire, là qui subito, come siamo commosse.
Ti muovi. Non resti mai ferma. Non ti fermi mai. Non sei mai. Come dirtelo? Sempre altra. Come parlarti? Seguendo il flusso, senza mai indurirlo. Gelarlo. Come far passare nelle parole questa corrente? Molteplice. Senza cause, sensi, qualità semplici. E tuttavia non scomponibile. Movimenti che non si traducono in un itinerario con un'origine ed un fine. Fiumi senza mare unico e definitivo. Senza argini stabiliti. Corpi senza margini definiti. Mobilità incessante. Vita. E quelle che magari chiameranno le nostre pazzie, agitazioni, commedie o bugie. Talmente sono estranee a chi pretende basarsi sul solido.
Parla ugualmente. Tra noi, il "duro" non è necessario. Conosciamo abbastanza i contorni dei nostri corpi per amare la fluidità. La nostra densità non ha bisogno d'essere perentoria, rigida. Il nostro desiderio non inclina al cadaverico.
Ma come non morire quando stiamo lontane l'una dall'altra? E' il nostro pericolo. Come aspettare che tu ritorni, se, stando distante, non puoi essere anche vicina? Se qualcosa d'ancora sensibile non ricorda, qui, ora, il contatto dei nostri corpi.
Aperte all'infinito della nostra lontananza richiuse sull'insensibile dell'assenza, come continuare a viverci? Impastate di dolore, per un lutto. Bisogna proprio che impariamo a parlarci per riuscire a baciarci da lontano. Certo, ritoccandomi mi ricordo di te. Ma sono state dette tante parole, tante parole ci parlano, che ci separano.
Inventiamo rapidamente le nostre frasi. Che dovunque e continuamente il nostro abbraccio non s'interrompa. Siamo così sottili che nessun ostacolo ci resisterà, che niente potrà opporsi al nostro ritrovarci, magari fuggitive, purché troviamo dei mezzi di trasmissione con la nostra densità. Passeremo attraverso tutto, impercettibili, senza sciupare niente, per ritrovarci. Nessuno ci vedrà niente. La nostra forza è di essere così poco resistenti. Loro sanno da tanto tempo quanto vale la nostra elasticità nel piacere di stringerci, di costringerci. Perché non ne godiamo tra noi? Invece di sottometterci al loro stampo. Fissate, marchiate, immobilizzate. Separate.
Non piangere. Un giorno riusciremo a dirci. E quello che diremo sarà ancor più bello delle nostre lagrime. Fluidissime.
Già ti sto portando con me, dovunque. Non come un bambino, un fardello, un peso. Magari amato, magari prezioso. Tu non sei in me. Non ti contengo né ti trattengo: nel mio ventre, tra le mie braccia, nella mi testa. E nemmeno nella memoria, nello spirito, nel linguaggio. Sei lì, come la vita della mia pelle. Certezza d'esistere al di qua d'ogni apparenza, d'ogni rivestimento, d'ogni appellativo. Certezza di vivere perché tu raddoppi la mia vita. Non vuol dire che tu mi dai o subordini la tua. Che tu viva mi fa sentir vivere, purché tu non sia né la mia replica né la mia imitazione.
Come dirti altrimenti: noi non siamo che in due? Noi siamo in due al di qua dei miraggi, delle immagini. Degli specchi. Tra noi, una non è quella "vera" e I'altra la copia, una originale, I'altra il riflesso. Noi che nella loro economia sappiamo simulare alla perfezione, tra noi ci rivolgiamo senza simulacro. La nostra somiglianza non ha bisogno di sembianza: perfino già nel nostro corpo. Toccati, toccami, lo "vedrai".
Non c'è bisogno che ci facciamo una seconda figura, allo specchio, per essere "in co(p)pia". Che ci ripetiamo: una seconda volta. Prima d'ogni rappresentazione, siamo due. Lascia avvicinarsi queste due che il tuo sangue ti ha fatte, che il mio corpo ti ricorda, vive. Hai sempre la bellezza toccante d'una prima volta, tu non ti lasci fissare in una riproduzione. Sei sempre commossa per la prima volta, non ti immobilizzi in nessuna forma di ritorno.
Senza modello, senza unità di misura, non diamoci mai ordine, imperativo, proibizione. Che gli unici imperativi siano inviti a muoverci: insieme. Non facciamoci mai la legge o la morale. La guerra. Non abbiamo ragione. Nessun diritto di criticarmi/ti. Se tu/io giudica, noi cessiamo d'esistere. E quello che amo in te, in me, in noi non ha luogo: la nascita mai conclusa, il corpo mai terminato, la faccia che continua a modellarsi. Le labbra mai aperte o chiuse su una verità.
La luce, per noi, non è violenta. Micidiale. Il sole, per noi, non si alza né tramonta semplicemente. La notte e il giorno si mischiano nei nostri sguardi. Nei gesti. Nei corpi. Non abbiamo, in senso stretto, un'ombra. Nessun pericolo, tra noi, che l'una o l'altra sia un doppio più oscuro. Voglio restare notturna e ritoccare in te la mia notte. Dolcemente luminosa. Non pensare soprattutto che io ti desideri brillante come un faro. Dominatrice, altera, su quello che ti circonda. Separare la luce dall'oscurità sarebbe rinunciare alla leggerezza delle nostre combinazioni. Indurire l'eterogeneità che ci fa continuamente tutta(e). Dividerci con paratie stagne, farci a pezzi, tagliarci in due o più. Mentre noi siamo sempre l'una e l'altra, al tempo stesso. Non possiamo distinguerci così. Senza finire di nascere: tutta(e). Senza limiti né bordi che non siano quelli dei nostri corpi in movimento.
E non possiamo smettere di parlare se non per un senso, impostoci della misura. Non offuscarti. Io - continua. Nonostante le molte costrizioni artificiali di spazio e di tempo, io --continuamente-ti abbraccio. Che altri ci facciano feticci, per separarci, è affare loro. Non lasciamoci immobilizzare in questo decoro.
E se tante volte insisto: non, né, senza... è per ricordarti, ricordarci che noi non ci tocchiamo se non nude. E che per ritrovarci così, abbiamo molto da svestirci. Da tante rappresentazioni e apparenze, che, ci allontanano l'una dall'altra. Ci hanno così a lungo avvolte secondo il loro desiderio, ci siamo così spesso agghindate per piacere loro, che abbiamo dimenticato la nostra pelle. Fuori della nostra pelle, restiamo distanti. Tu ed io scostate.
Tu? Io? E' detto fin troppo. Troppo concluso tra noi: tutta, tutte.

giovedì 16 agosto 2007

CROCIFISSI NEGLI EDIFICI PUBBLICI

tratto del sito dell'UAAR

PERCHÉ SONO PRESENTI?
PERCHÉ RIMUOVERLI?
CHI COMBATTE PER LA LORO RIMOZIONE?
L’USO POLITICO DEL CROCIFISSO
UN RICORSO UAAR ALLA CORTE COSTITUZIONALE
L’INIZIATIVA DEL GIUDICE TOSTI
COSA SUCCEDE ALL’ESTERO?
DOCUMENTAZIONE SULL’ARGOMENTO

PERCHÉ SONO PRESENTI?
Nelle scuole, nelle aule di tribunale, negli ospedali troviamo spesso esposto il crocifisso cattolico. Con alcune disposizioni emanate in piena era fascista tra il 1924 e il 1928 (regî decreti e, nel caso dei tribunali, addirittura una circolare ministeriale), la presenza del crocifisso ha trovato una base giuridica che le successive novità legislative non hanno scalfito, nonostante la Costituzione del 1948 statuisca l’eguaglianza delle religioni di fronte alla legge e nonostante diverse sentenze della Corte Costituzionale riaffermanti la laicità dello Stato e la supremazia dei principî costituzionali su altre norme e leggi.
Diverse richieste di rimozione formulate negli ultimi anni sono state invariabilmente cassate proprio in base alla mancata esplicita abrogazione delle norme del ventennio. Ad esempio, leggi un parere del Consiglio di Stato sull’esposizione del crocefisso nelle scuole. Anche in questo caso l’esposizione viene motivata, tra l’altro, con l’assurda tesi che il crocifisso sia parte del patrimonio storico-culturale italiano (ma non certamente l’unica, e in ogni caso l’unica ad avere questo privilegio).

PERCHÉ RIMUOVERLI?
In uno Stato laico, nella piena attuazione di una costituzione che non prevede religioni di Stato, la presenza di simboli costituisce un’inammissibile privilegio per la religione cattolica. Essendo chiaramente assurdo concepire la presenza dei simboli di tutte le religioni (visto il loro gran numero), l’unica strada da percorrere è la rimozione dei crocifissi dagli edificî pubblici.
La presenza nei tribunali è poi ancora più inconcepibile, in quanto abbinata al motto La legge è uguale per tutti: come può sentirsi giudicato serenamente un cittadino islamico, in un’aula in cui una religione (e di conseguenza i suoi fedeli) sono considerati più “uguali” degli altri? Senza contare che, per gli stessi cattolici, la crocifissione di Gesù rappresenta un’ingiustizia…

CHI COMBATTE PER LA LORO RIMOZIONE?
Un importante risultato è stato ottenuto dall’iniziativa personale di uno scrutatore elettorale, Marcello Montagnana, socio UAAR scomparso nel 2004, che nel 1994 rifiutò l’incarico in nome della laicità dello Stato, a causa della presenza del crocifisso nel seggio.
Montagnana è stato una prima volta condannato dal Pretore di Cuneo (400 mila lire di multa), poi assolto in Appello: sentenza annullata dalla Cassazione con rinvio alla Corte di Appello, che questa volta confermava la sentenza del Pretore. L’iter si è definitivamente chiuso il primo marzo 2000 con una nuova sentenza della quarta sezione penale della Cassazione: annullamento definitivo della condanna senza rinvio.
Grazie alla sua battaglia un primo importante passo verso la rimozione dei simboli religiosi è stato compiuto: la nostra campagna «Scrocifiggiamo l’Italia!» ne è la naturale prosecuzione e, non a caso, è stata avviata col contributo dello stesso Montagnana.
Oltre che a sensibilizzare in vario modo sul problema, l’UAAR ha presentato ben tre ricorsi al TAR: contro un consiglio d’Istituto, contro il ministro dell’Interno e contro quello dell’Istruzione. Altre iniziative sono state avviate in seguito da altri soci UAAR, come riportato oltre.
Nel frattempo, la questione ha assunto dimensione nazionale dopo l’ordinanza di rimozione emanata dal Tribunale dell’Aquila in seguito a un ricorso presentato da Adel Smith. Questo è un comunicato dell’UAAR sull’ordinanza.
Il dibattito che è seguito alla sentenza del giudice Montanaro ha assunto toni da crociata, tanto che adesso difende il crocifisso in nome di una presunta “identità culturale” anche gente che non mette piede in chiesa da anni. Per evitare accuse di “intelligenza con il nemico”, a uso di tutti coloro che argomentano contro il crocifisso nei luoghi pubblici, pubblichiamo qui una serie di FAQ (acronimo di Frequently Asked Question, Domande poste più frequentemente) messe a punto da Marco Accorti e Mez, con le quali ribattere razionalmente a tutti i difensori a oltranza dei crocifissi fuori posto. Ne è altresì disponibile una versione in formato Adobe PDF.

L’USO POLITICO DEL CROCIFISSO
In passato vi sono state diverse interrogazioni parlamentari, presentate chiedendo lumi sulla presenza del crocifisso. Nel 1996 vi fu un’interrogazione parlamentare dei senatori Mele, de Zulueta e Debenedetti (PDS). Sulla scia della vicenda Montagnana, nel 2000 sono state presentate altre due interrogazioni parlamentari, una di Senese (DS), l’altra di Saraceni, Paissan, Gardiol e De Benetti (Verdi). Queste tre interrogazioni non hanno mai avuto alcuna risposta.
Nel frattempo, la Lega Nord ha iniziato a corteggiare politicamente il cattolicesimo più becero e reazionario, presentando provocatoriamente mozioni in favore della presenza del crocifisso negli edifici pubblici a livello comunale, provinciale e regionale, riuscendo purtroppo molto spesso a farle approvare. Alla Camera, il deputato Bricolo ha provveduto a presentare una proposta di legge per reintrodurre il crocifisso. Il ministro della Pubblica Istruzione Letizia Brichetto in Moratti ha pubblicamente recepito la richiesta leghista e, nel 2002, ha emanato una nota e una direttiva volte a reintrodurre il simbolo cattolico negli istituti scolastici.
Dopo l’ordinanza del Tribunale dell’Aquila, diversi parlamentari hanno preannunciato la presentazione di proposte di legge pro e contro l’esposizione del crocifisso.
UN RICORSO UAAR ALLA CORTE COSTITUZIONALE
Nel novembre 2003 il TAR del Veneto si è pronunciato sul primo ricorso presentato da due soci dell’UAAR, i coniugi A., d’intesa con l’associazione. Con una sua ordinanza il TAR ha definito «non manifestamente infondata», con riferimento al principio della laicità dello Stato, la questione della legittimità costituzionale delle norme del Ventennio che consentono l’esposizione dei crocifissi, rimettendo il ricorso alla Corte Costituzionale affinché esprima il suo parere in merito.
Il pronunciamento della Consulta è alfine giunto il 15 dicembre 2004 (ordinanza n. 389) accompagnato dai toni trionfalistici di molti media, che non hanno capito - o fatto finta di non capire - il significato dell’ordinanza emessa: la maggioranza dei mezzi di comunicazione hanno inteso far passare il messaggio che “il crocifisso deve rimanere dov’è”, laddove invece la Consulta ha stabilito semplicemente che la questione non la riguarda, in quanto non esiste alcuna legge che imponga la presenza di crocifissi nei luoghi pubblici. La materia è disciplinata da regolamenti, che non sono di competenza della Corte costituzionale bensì dei tribunali ordinari o amministrativi (TAR). Per un punto di vista “freddo” sull’ordinanza c’è un interessante articolo di Stefano Ceccanti, apparso sul quotidiano Il Riformista del 16 dicembre 2004. Nel frattempo, nel timore che il parere della Consulta fosse negativo, il Vaticano aveva avviato una discreta attività persuasiva volta ad accettare il “male minore”, individuato nella soluzione bavarese (vedi sotto).
Nel marzo 2005, con la sentenza n. 1110, il TAR del Veneto ha respinto il ricorso. I coniugi A. hanno presentato ricorso innanzi al Consiglio di Stato.
Il 13 febbraio 2006 anche il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso. Un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è in fase di preparazione.

L’INIZIATIVA DEL GIUDICE TOSTI
Nel frattempo, la controversia sul crocifisso si è arricchita di un nuovo caso. Il giudice Luigi Tosti, del tribunale di Camerino (MC), nonché socio UAAR, stanco di chiederne la rimozione dalle aule di giustizia, ha deciso di affiggere il simbolo dell’UAAR accanto al crocifisso.
La vicenda, oltre ad assumere un’importanza nazionale, si è successivamente colorata di giallo a causa di un’ispezione ordinata dal ministro della Giustizia Castelli. Nella sezione Scrocifiggiamo l’Italia sono pubblicati alcuni documenti inerenti anche questo caso.
La decisione del giudice Tosti di non tenere più udienze finché non fosse emanato un provvedimento di rimozione dei crocifissi dalle aule dei tribunali l’ha portato a subire un processo e una condanna a sette mesi di reclusione (con sospensione della pena). La condanna è stata confermata in appello.
COSA SUCCEDE ALL’ESTERO?
Il problema dell’invadenza dei simboli religiosi nella vita quotidiana non è solo italiano: problemi vi sono anche in molti altri Paesi, con battaglie combattute dalle associazioni laiche che, talvolta, portano anche a dei risultati.
Alcuni esempî.
AUSTRIA. Una legge del 1949 e il Concordato del 1962 garantiscono la presenza dei crocifissi nelle scuole dove gli studenti cristiani sono la maggioranza.
FRANCIA. È vietata espressamente (articolo 28 della Costituzione) l’esposizione di simboli o emblemi religiosi su monumenti e in spazi pubblici, a eccezione di luoghi di culto, cimiteri, musei, ecc.: un’iniziativa promossa dall’associazione Une Vandée pour tous les Vandéens ha così ottenuto che il tribunale ordinasse a due comuni di togliere dalla sala consiliare il crocifisso. Senza risultato, invece, la richiesta di togliere il simbolo del dipartimento della Vandea (una croce).
GERMANIA. Una sentenza della Corte Costituzionale del 1995 ha sancito l’incostituzionalità della presenza dei simboli religiosi nelle aule scolastiche. Tale provvedimento riguarda le scuole elementari del solo land della Baviera (peraltro il più cattolico della repubblica federale) e subordina la permanenza del crocifisso a un’esplicita richiesta di genitori, insegnanti e alunni delle diverse scuole.
SVIZZERA. Nel 1990 il tribunale federale elvetico ha dato ragione a un ricorso contro la decisione di un comune del Canton Ticino di esporre crocifissi nelle classi, sostenendone l’incompatibilità con la neutralità confessionale della scuola pubblica.
USA. Qui la battaglia si combatte soprattutto contro la presenza sulle banconote del motto In God we trust («noi crediamo in Dio»). Per un quadro d’insieme sia sulle iniziative giuridiche intraprese, sia sul comportamento spicciolo dei cittadini atei (come la cancellazione del motto dai dollari), vai alla pagina dedicata all’argomento sul sito di American Atheists.

DOCUMENTAZIONE SULL’ARGOMENTO
«Scrocifiggiamo l’Italia!»: la più fornita risorsa on line sull’argomento.
Ultimo aggiornamento: 28 maggio 2007

CONTRACCEZIONE

tratto dal sito dell'UAAR

UN PO’ DI STORIA
LA LEGISLAZIONE ITALIANA
LE TESI CATTOLICHELE INGERENZE CATTOLICHE SULLA MATERIA
I RISULTATI DELLE INGERENZE: LA SITUAZIONE ITALIANA
LA PILLOLA DEL GIORNO DOPO
CHI SI BATTE PER UNA CULTURA DELLA CONTRACCEZIONE
PROPOSTE DI LEGGE

UN PO’ DI STORIA
Il controllo delle nascite non è un’invenzione moderna: fin dagli albori della civiltà, presso qualunque società umana, una gravidanza di troppo ha sempre rappresentato un problema.
Certo, nell’antichità le tecniche erano decisamente più rudimentali, ed andavano dall’utilizzo dello sterco animale ad infusi e beveroni: giocoforza, visti gli insuccessi ottenuti con queste metodologie empiriche, si diffuse la pericolosa usanza di ricorrere abitudinariamente all’aborto.
In Europa, l’ascesa del cristianesimo e della sua mentalità estremamente restrittiva comportarono la «sparizione» ufficiale di ogni tipo di pratica anticoncezionale, considerate illegali. Solo con l’avvento della società moderna, da poco più di un secolo, si è ricominciato a parlare pubblicamente di controllo delle nascite, iniziando contemporaneamente a studiare scientificamente il problema allo scopo di creare contraccettivi più sicuri.
Nacque così il moderno condom, se ne iniziò la produzione su scala industriale, e finalmente alla fine degli anni ’50 venne ideata la pillola anticoncezionale.

LA LEGISLAZIONE ITALIANA
L’Italia, «cortile di casa» del Vaticano, anche su questa materia è arrivata buona ultima rispetto alle nazioni più progredite. Fino al 1971, quando fu abrogato dalla Corte Costituzionale, era ancora in vigore l’articolo 553 del Codice Penale, che vietava propaganda e uso di qualsiasi mezzo contraccettivo, punibile fino ad un anno di reclusione.
La legge 405 del 22 luglio 1975 istituiva i consultori familiari, tra i cui scopi vi era anche quello di dare assistenza in materia di procreazione responsabile: tuttavia, anacronisticamente, solo un anno dopo il Ministero della Sanità avrebbe autorizzato la vendita degli anticoncezionali nelle farmacie.

LE TESI CATTOLICHE
Da Agostino in poi la Chiesa ha sempre considerato peccato mortale (in quanto omicidio, per la precisione) la pratica contraccettiva. Negli anni Sessanta, sotto la spinta del Concilio, vi furono numerosi tentativi per modificare questa posizione: una Commissione Pontificia diede anche un parere favorevole a un’apertura in materia.
Paolo VI non volle seguire questi consigli e con l’enciclica Humanae Vitae mise la parola fine alle discussioni: l’astinenza era e rimaneva il metodo prediletto. Tesi ribadita e sostenuta da Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium Vitae.
Il recente Catechismo della Chiesa Cattolica definisce «l’unione carnale tra un uomo e una donna, al di fuori del matrimonio» come «gravemente contraria alla dignità delle persone e della sessualità umana naturalmente ordinata […] alla generazione dei figli».
È chiaro che, di conseguenza, questo testo può menzionare la contraccezione soltanto all’interno del matrimonio, e soltanto per essere anch’essa condannata: gli unici mezzi moralmente accettabili sono «la continenza periodica, i metodi di regolazione delle nascite basati sull’auto-osservazione e il ricorso ai periodi infecondi».
Con una visione così estremamente limitata della sessualità, le gerarchie vaticane stentano finanche a comprendere il desiderio di gran parte dell’umanità di definire individualmente la propria vita sessuale: ed ecco il fiorire di tutta una serie di affermazioni assurde.
«Il profilattico non esclude la trasmissione dell’Aids; favorirne l’uso rischia di far abbassare la guardia contro la malattia; l’unica vera prevenzione è l’astinenza sessuale», è l’incredibile tesi sostenuta dall’Osservatore Romano il 4 aprile 2000.
«Non bisogna avere alcuna esitazione nel dire chiaramente che il cancro può essere il risultato di comportamenti umani, compresi taluni comportamenti sessuali» è l’altrettanto assurda affermazione fatta da Giovanni Paolo II il 30 ottobre 1999 nel corso di un incontro con una delegazione di ginecologi.
Tuttavia, non bisogna pensare che le stesse gerarchie vaticane siano contrarie ad oltranza al preservativo. Per motivi economici si possono anche fare degli strappi alla regola: fino al 1970 infatti il Vaticano possedette il pacchetto di maggioranza della società Serono, produttrice di una pillola anticoncenzionale di nome Luteolas.
Del resto, nel mondo cattolico i dissensi sulla posizione propugnata sulla contraccezione non sono né pochi, né isolati: illustri teologi, comunità di base e missionari hanno ripetutamente invitato i vertici ecclesiastici a riconsiderare il problema.

LE INGERENZE CATTOLICHE SULLA MATERIA
Il caso forse più famoso è il ritiro degli opuscoli anti-AIDS da parte del ministro Rosa Russo Jervolino. Si era nell’anno scolastico 1992/93 ed i fumetti di Lupo Alberto indugiavano troppo sulla necessità della contraccezione in una consapevole pratica sessuale: l’integerrima Jervolino giudicò i testi pericolosi per le giovani menti a cui erano destinati. Nel dicembre 2002, se possibile, i ministri Brichetto Moratti e Sirchia hanno fatto anche di peggio: l’opuscolo anti AIDS distribuito nelle scuole, a parte due accenni fugaci, invitava inesorabilmente gli adolescenti alla castità.
Nel febbraio 2000 il segretario DS Veltroni, in visita a Soweto, di fronte al dramma dell’AIDS fece un appello alla Chiesa affinché cambiasse posizione sulla contraccezione: monsignor Elio Sgreccia, plenipotenziario vaticano sui temi etici e bioetici, la giudicò una «mancanza di rispetto verso il Papa». Secondo lui «i preservativi sono distribuiti in Africa dalle organizzazioni governative e internazionali, ma non è servito a niente. Per cui puntare sul preservativo resta una linea pedagogica fallace e finisce per diventare un inganno». Ancor più recentemente, a Civitavecchia, il vescovo locale è intervenuto contro l’introduzione di due distributori automatici di preservativi con queste parole: «Sappiano le mamme che d’ora in poi anche i ragazzini potranno giocare con i preservativi. Vi piace. Accomodatevi; non so cosa dire ma è orribile soltanto il pensarlo. Ma, in tal caso, non potrebbe esserci anche il reato di corruzione di minorenni? Che cosa dice la Magistratura? Che poi la Madonna sia venuta a piangere lacrime di sangue proprio a Civitavecchia è quanto mai sintomatico».
L’1 dicembre 2000 la giornata mondiale della lotta all’AIDS ha rivelato platealmente il contrasto: monsignor Barraghan, «ministro della sanità» vaticano, ha mentito spudoratamente sul rapporto tra contraccezione e malattia in Africa, mentre il Ministro Veronesi ha chiesto addirittura che il costo dei preservativi cali, per favorirne la diffusione anche tra chi non se lo può permettere.
Ma mentre nel nostro paese la realtà fa a pugni con le posizioni anacronistiche sostenute dalla Chiesa Cattolica, nei paesi in via di sviluppo, dove la denutrizione e l’AIDS sono piaghe infinite, posizioni di questo tipo sono assolutamente incoscienti. In questi paesi, bisognosi di aiuti internazionali, la Chiesa fa una pesante opera di lobbying influenzando le politiche governative di controllo delle nascite. Ancora nel dicembre ’99 l’arcivescovo kenyota Ndingi Mwana Nzeki così tuonava contro un disegno di legge sulla materia: «L’unica soluzione per le coppie sposate è la fedeltà reciproca e per coloro che non sono sposati l’astinenza».
L’ingerenza vaticana non si esprime solo nei confronti dei singoli stati, ma anche presso le Nazioni Unite dove ripetuti sono i tentativi cattolici di coalizzare una «internazionale integralista» contro le politiche avviate dall’ONU per fermare il boom demografico.
I RISULTATI DELLE INGERENZE: LA SITUAZIONE ITALIANA
All’approvazione di leggi liberalizzanti la pratica contraccettiva non è seguita alcuna seria politica di educazione ed informazione sessuale.
Il fallimento è evidente: solo una minoranza dei giovani utilizza costantemente metodi contraccettivi. Negli ultimi vent’anni l’uso della pillola è passato dal 14% a solo il 21%, mentre quello del preservativo è addirittura sceso dal 17% al 14%. Questo nonostante i 2/3 della popolazione e la maggioranza dei cattolici stessi siano favorevoli alla contraccezione.
Le conseguenze peggiori ricadono sulle giovanissime: il numero di aborti tra le ragazze minorenni è in aumento, dal 4,5 per mille del 1990 al 6,6 per mille del 1999.
LA PILLOLA DEL GIORNO DOPO
Così è comunemente chiamato un farmaco d’intercettazione della fertilità. Va assunta entro massimo 72 ore dal rapporto a rischio, e deve essere considerata una soluzione di emergenza piuttosto che un comune anticoncezionale. Se la donna non è stata fertilizzata non ha effetti collaterali. Non è un farmaco abortivo: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la gravidanza inizia al momento dell’impianto dell’embrione e l’intercettazione precede l’impianto.
Purtroppo, anche in questo caso i cattolici la pensano diversamente: per loro l’inizio della vita personale inizia quando lo spermatozoo entra nell’ovocita. Risultato?
Mentre altrove è usata da anni, mentre in Francia dal novembre 1999 è distribuita gratuitamente anche nelle scuole (ottenendo la riduzione del 30 per cento degli aborti tra le adolescenti), in Italia arriva solo agli albori del terzo millennio, interamente a carico di chi l’acquista e solo con una specifica prescrizione del medico, nonostante il 70% della popolazione si dica favorevole alla vendita (il numero di aborti tra le ragazze minorenni è in aumento, dal 4,5 per mille del 1990 al 6,6 per mille del 1999).
La polemica inscenata dalla Chiesa Cattolica è quindi assolutamente strumentale, e volta come al solito a sfruttare la piaggeria di tanti politici per i propri fini.
A riprova, una sentenza del TAR del Lazio del novembre 2001 ha respinto un ricorso del Movimento per la vita e del Forum delle associazioni familiari contro il decreto del Ministro della Sanità Veronesi che ne autorizzava la vendita. Secondo la sentenza il farmaco non è abortivo, in quanto «agisce con effetti contraccettivi in un momento anteriore all’innesto dell’ovulo fecondato nell’utero materno».
Nel novembre 2005, in seguito ai ripetuti casi di mancata somministrazione della pillola da parte del personale cattolico di alcuni nosocomi, i radicali hanno presentato un’esposto alla Procura della Repubblica di Roma, la quale ha aperto un’indagine.
Con una circolare del 24 agosto 2006 la Regione Umbria ha intimato a tutti i farmacisti l’obbligo di somministrare il farmaco.

CHI SI BATTE PER UNA CULTURA DELLA CONTRACCEZIONE IN ITALIA
L’AIED (Associazione Italiana per l’Educazione Demografica) è una meritoria associazione nata nel 1953 allo scopo di favorire una crescita culturale sui temi della contraccezione, della pianificazione delle nascite e della sessualità. Alla sua azione si devono le principali conquiste ottenute in Italia sulla materia.
È molto attiva ancora oggi, attraverso campagne di sensibilizzazione ed azioni «di disturbo», quali la distribuzione gratuita di preservativi. Sul loro sito è disponibile anche una breve guida ai diversi metodi contraccettivi.
A livello mondiale importante è l’attività sul tema della pianificazione familiare svolta dalla IPPF (International Planned Parenthood Federation), che raggruppa associazioni di più di 180 nazioni.
L’UAAR ha sempre denunciato l’irresponsabile opposizione religiosa al controllo demografico: in paesi come l’Italia l’opposizione alla contraccezione finisce contraddittoriamente per essere causa di maternità non desiderate e quindi incentivo all’aborto.
La nostra rivista l’Ateo si è interessata all’argomento nel numero 1/1997 con un articolo di Riccardo Baschetti, I profilattici a scuola.

PROPOSTE DI LEGGE
Nella XIII legislatura sono stati presentati alcuni progetti di legge volti a modificare, in senso più restrittivo o più liberale, la legge 405/1975 sui consultori familiari.
Alla Camera dei Deputati sono state presentate anche due proposte di legge sul tema dell’informazione e dell’educazione sessuale nelle scuole: una ad opera dei DS (numero 218) e una a opera della Lega Nord (numero 1722).
Nella XIV legislatura la deputata Alberta De Simone (DS) ha presentato una proposta di legge (numero 354) per introdurre l’informazione e l’educazione sessuale nelle scuole, mentre i senatori Manieri e Crema (SDI) hanno proposto un disegno di legge (numero 200) per modificare, migliorandola, la legge 405/75.
Nel novembre 2005, il ministro alle Pari Opportunità Stefania Prestigiacomo (FI) ha lanciato la proposta, non formalizzata, di distribuire gratuitamente preservativi, allo scopo di diffondere le politiche contraccettive e di ridurre il ricorso alle interruzioni di gravidanza.

Ultimo aggiornamento: 22 ottobre 2006

EVOLUZIONISMO

tratto dal sito UAAR

UN PO’ DI STORIA
L’EVOLUZIONE UMANA
IL CREAZIONISMO
IL DISEGNO INTELLIGENTE
LA DOTTRINA CATTOLICA OGGI
ANTIEVOLUZIONISMO IN ITALIA
I DARWIN DAY UAAR
PERCORSI DI APPROFONDIMENTO

UN PO’ DI STORIA
Ogni gruppo umano si è posto le grandi domande sull’origine del mondo e della specie umana. Molte e molto diversificate sono state le risposte date, soprattutto dalle élite religiose.
Ovviamente, queste risposte non avevano alcuna base scientifica, ma erano invece il frutto delle condizioni sociali, economiche e culturali delle comunità in cui venivano elaborate. La narrazione contenuta nella Bibbia è nota a tutti: Dio avrebbe creato l’intero universo in soli sei giorni: cominciando la sua opera il 23 ottobre 4004 a.C., secondo il calcolo, basato sullo stesso testo biblico, che il pastore anglicano Usher fece nel Seicento. Nel Corano non esiste una descrizione vera e propria della creazione: i pochi accenni sembrano rifarsi alla Bibbia ebraica. Nel mondo indiano, la narrazione inclusa nei RgVeda (X, 129) ne riconosce esplicitamente l’inconoscibilità, mentre lo smembramento dell’uomo primordiale (X, 90: Purusa dalle mille teste, mille occhi, mille piedi) avrebbe dato origine alle odierne caste: le quattro ere cicliche dell’universo, con minor fallacia rispetto alle religioni abramitiche, ammonterebbero a 4.320 milioni di anni umani.
Non tutti gli uomini sono stati prigionieri di questi miti: il filosofo greco Anassimandro, ad esempio, riteneva che gli uomini discendessero dai pesci. E il filosofo romano Lucrezio scrisse che nella natura non vi era traccia di alcun intervento divino, ma solo del continuo divenire della natura stessa. Ma resta il fatto che, almeno fino al XVIII secolo, l’idea dominante nel mondo occidentale fu quella del fissismo, secondo cui le specie erano immutabili. Il naturalista Buffon fu il primo a formulare una proposta evoluzionistica, seguito da altri studiosi.
Ma fu solo con Charles Darwin (1809-1882), e con la pubblicazione nel 1859 del suo trattato L’origine delle specie, che la teoria dell’evoluzione prese definitivamente forma. Darwin sostenne la tesi della selezione naturale: un meccanismo che favorisce i caratteri genetici che meglio si adattano all’ambiente, eliminando invece quelli svantaggiosi. In seguito, lo sviluppo degli studi sull’ereditarietà di Mendel permisero di affinare ulteriormente la teoria: la comparsa di alcune variazioni casuali vantaggiose, rispetto agli altri individui di una stessa specie, possono essere ereditate dalla propria discendenza, fino alla nascita di un nuovo gruppo di individui, diverso da quello di provenienza. È questo il processo detto di “speciazione”.
L’evoluzionismo sostiene dunque che le specie animali e vegetali discenderebbero tutte da specie più antiche, da cui si sarebbero, per l’appunto, “evolute”. L’evoluzione non è predeterminata: le mutazioni sono casuali e anche il tempo e il modo in cui insorgono sono assolutamente imprevedibili. Il processo di speciazione è quindi sempre in corso.
Negli ultimi decenni la scuola neodarwinista ha visto i suoi esponenti privilegiare diversi aspetti. L’ipotesi degli “equilibri punteggiati”, sostenuta da Eldredge e Gould, ha proposto un modello evolutivo a salti. Richard Dawkins, invece, ha invece formulato l’ipotesi del “gene egoista”, in cui l’evoluzione è vista come un meccanismo per la trasmissione di geni.
Nonostante i differenti accenti, la quasi totalità del mondo scientifico odierno ha fatto propria la teoria dell’evoluzione. Non mancano del resto le prove: lo studio dei resti fossili, le somiglianze e le differenze tra specie simili in diverse aree geografiche, le evidenze prodotte dall’anatomia e dall’embriologia comparata, le notevoli somiglianze nella composizione chimica e nelle strutture del corpo. Una teoria concorrente dovrebbe essere in grado di produrre altrettante evidenze. Al momento non vi è riuscito ancora nessuno.
EVOLUZIONE UMANA
L’età del nostro pianeta è stimata in circa 4,5 miliardi di anni. Si ritiene che le prime forme viventi siano comparse dopo un altro miliardo di anni: si trattava di semplici organismi monocellulari. Ci vollero quasi altri tre miliardi di anni per vedere la diffusione degli eucarioti, i primi organismi pluricellulari. I primi vertebrati marini comparvero 500 milioni di anni fa, i primi pesci 440 milioni di anni fa, i primi anfibi 400 milioni di anni fa, i primi rettili 250 milioni di anni fa. Per i mammiferi, discendenti dei rettili terapsidi, bisognò attendere ancora, e solo con la scomparsa dei dinosauri (circa 65 milioni di anni fa) si poterono aprire degli spazi per la loro diffusione.
60 milioni di anni fa apparvero i primi primati da cui, per successive speciazioni, si sarebbe arrivati all’antenato comune di scimpanzè ed esseri umani, la cui definitiva separazione avvenne circa 7-8 milioni di anni fa. Il genere homo si è evoluto attraverso l’australopiteco (4 milioni di anni fa), l’homo abilis (2,5), l’homo erectus (1,7), l’homo sapiens (150.000 anni fa). Quest’ultimo si diviso in due razze, che probabilmente si contesero anche il territorio: quella di Neanderthal si estinse circa 25.000 anni fa.
L’origine “scimmiesca” dell’uomo trova una conferma nell’analisi del DNA: il nostro e quello dello scimpanzè sono identici per più del 98 per cento.
IL CREAZIONISMO
L’ipotesi che l’uomo discendesse dalla scimmia suscitò uno scandalo immediato già all’epoca di Darwin. Le polemiche non si placarono nemmeno in seguito: negli anni Venti, nel Tennessee, si svolse il famoso Processo della scimmia (Monkey Trial), che vide come imputato un insegnante “colpevole” di insegnare il darwinismo a scuola.
Con le evidenze a proprio favore che l’evoluzionismo può vantare oggi, però, desta perplessità che vi siano ancora così tante persone legate alla concezione creazionista classica, basata su un’interpretazione letterale del testo biblico. Negli USA, la maggioranza della popolazione non crede tuttora alla validità della teoria evoluzionistica. Non solo: il movimento creazionista gode di un ampio supporto politico e di notevoli sostegni economici. La principale organizzazione impegnata in questa campagna di retroguardia è l’Institute for Creation Research.
Cotanto impegno ha portato dei risultati concreti: dal 1999, nelle scuole del Kansas viene insegnato il creazionismo al posto dell’evoluzionismo. Altri stati (come l’Alabama, il Nebraska, il New Mexico, l’Ohio) presentano l’evoluzionismo come una delle tante possibili spiegazioni. E in altri Stati ancora, che affidano la scelta dei programmi alle autorità scolastiche dei vari distretti, il creazionismo comincia a essere insegnato.
Nel Regno Unito, dove le scuole religiose sono finanziate dallo Stato, i problemi stanno cominciando solo ora: alcuni istituti, legati a organizzazioni religiose creazioniste, hanno infatti eliminato l’evoluzionismo dai propri programmi. Nel resto del vecchio continente la riscossa creazionista viene osservata ridendo sotto i baffi (è quanto può capitare navigando su un sito come Sulle tracce delle origini), ma è un atteggiamento supponente, che rischia di sottovalutare il pericolo.

IL DISEGNO INTELLIGENTE
La teoria del Disegno intelligente viene presentata come “oggettivamente” credibile, e scientificamente documentabile. Secondo questa ipotesi, la complessità e la bellezza dell’universo possono essere spiegate soltanto con l’intervento diretto di un essere divino. In realtà, anche i sostenitori di queste tesi non riescono a portare evidenze concrete a proprio favore: è difficile vedere molta intelligenza nella creazione di un universo quasi completamente invivibile, nell’estinzione del 99 per cento delle specie apparse sul nostro pianeta da quando vi è vita, nell’attesa di miliardi di anni per vedere finalmente apparire la specie umana. È difficile non concepire questa teoria come una versione “riverniciata” del creazionismo. E, come il creazionismo, è una teoria non testabile, e quindi fuori dall’ambito dell’indagine scientifica.
Anche questo movimento, tuttavia, è dotato di potenti supporter, proprio perché si presenta come un’alternativa sia al creazionismo che all’evoluzionismo: si veda in proposito il sito dell’Intelligent Design Network. Nel luglio 2005 il presidente George W. Bush in persona ha speso delle parole a favore dell’insegnamento scolastico della teoria del disegno intelligente.

LA DOTTRINA CATTOLICA OGGI
La Chiesa cattolica ha impiegato molto tempo per giungere a patti con l’evoluzionismo. Ancora nel 1950, l’allora pontefice Pio XII, all’interno dell’enciclica Humani Generis, metteva sullo stesso piano creazionismo ed evoluzionismo, attaccando duramente quest’ultimo e ribadendo, nel contempo, l’esistenza storica di Adamo e il suo ruolo di progenitore, e quindi di diffusore del peccato originale.
Il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica, diffuso nel 1992 per impulso di Giovanni Paolo II, ha glissato brillantemente su tutte le questioni scientifiche. Vi si ribadisce tuttavia che “la creazione è destinata, indirizzata all’uomo, immagine di Dio […] La creazione, infatti, è voluta da Dio come un dono fatto all’uomo, come un’eredità a lui destinata e affidata”.
Passi avanti sono stati fatti solo con il messaggio che Karol Wojtyla inviò, il 22 ottobre 1996, alla Pontificia Accademia delle Scienze. Pur partendo dalla Humani Generis, il pontefice riconosceva che l’evoluzionismo era diventato ormai qualcosa di più che una mera ipotesi: anche se accennava a “teorie” dell’evoluzione, anziché di una sola teoria, e questo perché esistono «letture materialiste e riduttive e letture spiritualistiche. Il giudizio è qui di competenza propria della filosofia e, ancora oltre, della teologia». Il papa non specificava come i teologi potessero fornire giudizi competenti in materie scientifiche.
Recenti dichiarazioni del cardinale Christoph Schönborn hanno rinfocolato le polemiche. L’arcivescovo di Vienna, che pure viene considerato uno degli esponenti più “moderni” delle gerarchie cattoliche, ha infatti definito il messaggio di Giovanni Paolo II «vago e poco importante», indicando in pratica la teoria del disegno intelligente come la più coerente con l’insegnamento cattolico, poiché non ammette alcuna mutazione casuale.

ANTIEVOLUZIONISMO IN ITALIA
Secondo un’indagine sociologica, circa il 25% della popolazione italiana ritiene che la Bibbia riporta la vera parola di Dio e va presa alla lettera. La percentuale scende sotto il 10% tra diplomati e laureati, ma sale oltre il 50% tra coloro che non possiedono nemmeno il titolo di studio elementare. È probabilmente a questo bacino elettorale che si è rivolto l’onorevole Pietro Cerullo (AN), promotore nel 2003, insieme ad Alleanza Studentesca, di una “Settimana antievoluzionistica”.
L’iniziativa suscitò molti commenti ironici. Non ne suscitò alcuno, invece, il decreto legislativo del 19 febbraio 2004, con cui il governo cancellava dai programmi d’insegnamento delle scuole medie ogni riferimento alle teorie evoluzionistiche. Non a caso, i programmi per le scuole medie erano stati elaborati da una commissione presieduta da un cattolico di ferro, Giuseppe Bertagna.
Vi fu una levata di scudi da parte di diversi scienziati, anche cattolici, contro la decisione. Il ministro Moratti fu costretto a nominare una commissione di saggi, presieduta da Rita Levi Montalcini, incaricata di studiare il problema. Quasi un anno dopo, la commissione fornì il proprio parere, chiedendo che il darwinismo fosse reinserito tra gli argomenti di studio. Quando, e come, il ministro non l’ha al momento ancora deciso.
I DARWIN DAY UAAR
La necessità di promuovere l’evoluzionismo ha convinto diversi suoi sostenitori a lanciare, nel 2002, una giornata mondiale dedicata alla scienza. Nacque così il Darwin Day, che si svolge ogni anno in molte città del pianeta nelle giornate intorno al 12 febbraio, anniversario della nascita di Charles Darwin.
In Italia, l’UAAR è stata pronta a raccogliere questa proposta, organizzando, fin dal 2003, conferenze e dibattiti sull’evoluzionismo e la scienza. Queste manifestazioni hanno visto la presenza di studiosi e scienziati di primissimo livello. Si veda la pagina del nostro sito dedicata ai Darwin Day UAAR.
Si vedano anche i numeri della nostra rivista L’Ateo dedicati all’evento (1/2005, 2/2005, 1/2006, 2/2006).

PERCORSI DI APPROFONDIMENTO
(EN) 15 Answers to Creationists Nonsense: risposte ai creazionisti e alle loro argomentazioni.
L’animale uomo, di Desmond Morris (Mondadori 1994): un testo dedicato alla specie animale più influente nella storia del pianeta Terra.
Antropologia senza bibbia: un commento di Gianfranco Biondi alle posizioni di Karol Wojtyła sull’evoluzionismo.
Il caso e la necessità, di Jacques Monod (Mondadori 1996): il contributo più importante del noto biologo, premio Nobel per la medicina.
Il codice Darwin, di Gianfranco Biondi e Olga Rickards (Codice Edizioni, 2005): un importante sistematizzazione degli studi sulle diverse specie del genere homo.
(EN) Creationist Classroom: una simpatica e inquietante animazione sull’insegnamento del creazionismo.
Creazione senza Dio, di Telmo Pievani (Einaudi 2006): un’interessante e aggiornata confutazione delle pretese dei sostenitore del disegno intelligente.
Dal Big Bang a Dio. Il lungo viaggio della vita, di Bruna Tadolini: un viaggio che si snoda dal Big Bang alla sintesi delle prime molecole organiche, alla loro organizzazione in un organismo vivente, all’evoluzione fisica degli organismi viventi, alla loro evoluzione metafisica - cioè all’evoluzione delle sensazioni, dei sentimenti, della morale, di Dio.
(IT) (FR) (EN) (ES) (PT) (GR) Darwin Day Celebration: il sito ufficiale dedicato ai Darwin Day di tutto il mondo.
Darwin, evoluzionismo e darwinismo: articoli, libri, eventi, temi controversi, bibliografie, dossier sull’evoluzionismo.
(EN) Darwin online: il sito che raccoglie tutte le opere di Charles Darwin.
Darwinweb.it: sito dell’omonima rivista.
(EN) The Official Richard Dawkins’s Website: il sito ufficiale del biologo inglese e della sua fondazione.
Evoluzione ed evoluzionismo, di Valeria Balboni (Alpha Test 2002): un’agile introduzione all’argomento.
Evoluzionismo nei programmi scolastici: una pagina dedicata allo scottante tema dell’insegnamento. Molto documentata.
Il gene egoista, di Richard Dawkins (Mondadori 1999): il libro con cui Dawkins ha esposto la propria teoria sui geni.
L’origine delle specie, di Charles Darwin (Newton & Compton 2000): l’opera che ha cambiato il mondo.
L’origine dell’uomo, di Charles Darwin (Editori Riuniti 1999): il libro che, indicando la parentela fra le scimmie e il genere umano, ha assestato un altro colpo durissimo al creazionismo biblico.
L’orologiaio cieco, di Richard Dawkins (Rizzoli 1989): un altro indispensabile testo del più noto neodarwinista.
Pikaia: il portale italiano dell’evoluzionismo.
(EN) Stephen Jay Gould Archive: sito non ufficiale dedicato a Stephen J. Gould.
La struttura della teoria dell’evoluzione, di Stephen Jay Gould (Codice edizioni, 2003): l’opera omnia del paleontologo americano, scomparso nel 2002.
(EN) Unweaving the Rainbow: un progetto musicale dedicato all’opera di Richard Dawkins.
…e l’uomo creò Satana, di Stanley Kramer (1960): un film con Spencer Tracy, ispirato al citato “Processo della Scimmia”.

CONCORDATO

tratto dal sito dell'UAAR

DI COSA SI TRATTA?
IL TESTO DEL 1929
L’ARTICOLO 7 DELLA COSTITUZIONE
LE MODIFICHE DEL 1984
PERCHÉ ABROGARLO?MA SI PUÒ ABROGARE? E COME?
CHI SI BATTE PER LA SUA ABOLIZIONE?
DOCUMENTAZIONE SULL’ARGOMENTO

DI COSA SI TRATTA?
Con il nome di Concordato si intende l’accordo bilaterale tra uno Stato (nel nostro caso, quello italiano), e la Chiesa Cattolica, disciplinante l’attività ecclesiastica all’interno dello Stato stesso. In Italia venne stipulato nel 1929 (nell’ambito dei cosiddetti Patti Lateranensi), recepito nella Costituzione nel 1948 e modificato successivamente nel 1984.

IL TESTO DEL 1929
Il 20 settembre 1870 l’esercito italiano entrava in Roma attraverso la breccia di Porta Pia, sancendo così la fine dello Stato Pontificio. Una delle clausole dell’armistizio lasciava al papa la zona dei palazzi vaticani, dove Pio IX si rinchiuse sdegnato. L’anno seguente il parlamento approvò la cosiddetta Legge delle Guarentigie, con cui si garantiva al Vaticano la piena indipendenza e un appannaggio annuo: ma Pio IX aveva comunque già scomunicato re, governo e parlamento. La frattura si ricompose nel 1929, quando il capo del governo italiano di allora, Benito Mussolini, stipulò l’accordo noto come Patti Lateranensi, comprendente un trattato con il quale nasceva lo Stato del Vaticano e un concordato con cui la religione cattolica veniva riconosciuta come «sola religione dello Stato».

L’ARTICOLO 7 DELLA COSTITUZIONE
Nel 1946 i membri dell’Assemblea Costituente si trovarono a discutere dell’opportunità, o meno, di accettare il testo degli accordi e di inserirlo, eventualmente, nella costituzione. Grazie anche ai voti del PCI i Patti furono inseriti nel testo della Costituzione all’articolo 7, nonostante le evidenti contraddizioni con l’articolo 3 e l’articolo 8.
Articolo 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (…)».
Articolo 7: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale».
Articolo 8: «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze».
Resisi conto di ciò, i costituenti decisero di rimandare a un successivo momento l’adeguamento del concordato alla Costituzione.

LE MODIFICHE DEL 1984
Solo nel 1984 si giunse ad una modifica del concordato, firmata dal primo ministro Bettino Craxi e dal cardinal Casaroli, con la quale, anche se si aboliva l’anticostituzionale riferimento alla «sola religione dello Stato». si introduceva l’ora di religione alle scuole materne, sostituendo nel contempo la congrua col meccanismo dell’8 per mille, molto più vantaggioso per la Chiesa. Le modifiche venivano successivamente ratificate in legge nel 1985.

PERCHÉ ABROGARLO?
Perché garantisce privilegî particolari a una religione, in contrasto con le più elementari norme di democrazia ed eguaglianza tra i cittadini, sancite peraltro dalla Costituzione Italiana stessa.
Laddove stabilisce uno status particolare per Roma, ad esempio, contrasta chiaramente con la Costituzione stessa: qualora le autorità vaticane, ad esempio, avessero voluto appellarsi al Concordato per chiedere la non effettuazione del Gay Pride del 2000, la questione sarebbe sicuramente finita alla Corte Costituzionale.
Oppure, ancora, si è dovuto ricorrere alla Cassazione per sancire la perseguibilità dei dirigenti di Radio Vaticana, accusata di emissioni elettromagnetiche oltre il livello consentito: gli avvocati difensori avevano sostenuto strenuamente la tesi dell’impossibilità di perseguire tali dirigenti, basandosi sull’articolo 11 del trattato tra l’Italia e la Santa Sede, che stabilisce che «gli enti centrali della Chiesa cattolica sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano».

MA SI PUÒ ABROGARE? E COME?
I radicali ci provarono nel 1977, raccogliendo le firme necessarie per un referendum abrogativo. il 2 febbraio 1978, però, la Corte Costituzionale con sentenza n. 16 lo dichiarò inammissibile, in quanto «trattato» con uno stato estero.
Restano quindi due strade: una impercorribile, l’altra quasi…
con il consenso della Chiesa, attraverso un accordo fra le parti: che la Chiesa rinunci ai suoi privilegî è però a nostro avviso impossibile.
attraverso l’abolizione dell’art. 7 della Costituzione: in tal caso la Chiesa verrebbe equiparata alle altre religioni, ed i suoi rapporti con lo Stato regolati attraverso un’intesa. Purtroppo a tale scopo è necessaria una modifica costituzionale, disciplinata dall’art. 138 della Costituzione stessa, che recita:«Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti».
Nessun referendum è quindi possibile su questo argomento. Spetta ai nostri parlamentari prendere l’iniziativa.

CHI SI BATTE PER LA SUA ABOLIZIONE?
Tutte le associazioni laiche, ovviamente, si dichiarano pronte a battersi per l’abrogazione del concordato. Per quanto riguarda l’UAAR le sue tesi sono molto chiare al riguardo. Anche alcune associazioni cattoliche si oppongono: vedi, ad esempio, Noi Siamo Chiesa.
La sproporzione fra le forze in campo ha finora pregiudicato la realizzazione di una vasta campagna sul tema: il 23 settembre 2000, nel corso del primo convegno nazionale del pensiero laico svoltosi a Treviso, l’idea è stata rilanciata, con l’ovvia adesione anche dell’UAAR e si è concretizzata il 13 ottobre 2001, sempre a Treviso, con la nascita della LIAC (Lega Italiana per l’Abrogazione del Concordato).
Viste le modalità per la sua abolizione, però, è essenziale che siano anzitutto le forze politiche a chiederne l’abolizione.
Nel 1987 ci fu una proposta di legge di Democrazia Proletaria, senza esito. Nel giugno 2002 anche i senatori Del Pennino (PRI), Turroni (Verdi), Iannuzzi (Forza Italia) e Debenedetti (DS) formularono una proposta di legge costituzionale per il superamento del regime concordatario. Neppure tale proposta fu mai presa in esame.
Pochi partiti si esprimono pubblicamente per il superamento del Concordato: Rifondazione Comunista, Partito dei Comunisti Italiani, Partito Repubblicano, e, soprattutto, Socialisti Democratici Italiani e Partito Radicale.

DOCUMENTAZIONE SULL’ARGOMENTO
Carlo Cardia. Diritto ecclesiastico. Il Mulino 1999.
Edoardo Semmola. La definizione di «Confessione religiosa».
Massimo Jasonni. «Concordato ecclesiastico» in Dizionario di Politica, pagg. 187-190. TEA 1990.
Giordano Bruno Guerri. Gli italiani sotto la Chiesa. Mondadori 1992.
Mario Alighiero Manacorda e Giovanni Franzoni. Le ombre di Wojtyla. Editori Riuniti 1999.
Mario Alighiero Manacorda. «Gli inganni del Concordato» in Manifesto Laico, pagg. 49-58. Laterza, Bari, 1999.
Intervista di Radio Popolare a Mario Patuzzo, l’Ateo n. 2/1997.
Per le intese tra lo Stato e le altre confessioni religiose minoritarie, vai al sito dell’OLIR.