martedì 14 agosto 2007
bullismo ed omofobia: testimonianza di una ragazza orvietana
Coming out significa uscire fuori, ma uscire fuori da cosa? La rabbia, la paura, la diversità, i pregiudizi, la diversità, la consolazione di un amico forse, come se sei chiuso in gabbia, e non c’è gabbia più forte di te. E tu in gabbia, e la voglia, una voglia di dirlo…una voglia di essere riconosciuta…anche semplicemente con un nome, con una A in più, per una E, per una possibilità. In questa società a che servono gli appellativi, le parole? A cosa serve la comunicazione? A dirti quello che senti, tutto quello che riesci a dire, tutto quello che sai di poter dire… quello che vuoi dire… Coming out….la paura e il desiderio, desiderio del coming out assoluto, ostentazione dell’omosessualità (pronunciando questa parola abbassa la voce) Paura del coming out, coming out selettivo: dove, quando e con chi, in che modo, perché? Cosa abbiamo fatto noi di sbagliato? Cosa c’è di diverso? Cos’è che fa così paura di noi, di me e perché non ne parliamo? Ho cercato in mille modi di suggerire, di evocare la mia condizione che vorrei tanto riconosciuta, e tanta paura insieme, tanta paura ogni volta che succede, e dal cuore, e dal cuore un groppo in gola, la paura massacrante, l’imbarazzo, la vergogna. Ora vedi, c’è una differenza tra ostentare la mia condizione e viverci liberamente: ostentarla significa doverla dire, per forza, quando non ce n’è bisogno, e viverci liberamente significa non aver bisogno di pensare a quando non ostentarla. È un bisogno parlare di se, è un bisogno amare…Allora a chi con chi e in che modo parlarne…? Come se fosse un recinto, un alveolo. Tra l’altro sono fortunata perché avrei potuto vivere una condizione ambivalente, che sarebbe stata totalmente inaccettata, vista come lussuria, vista come eccessivo permissivismo con se stessi, qualcosa di sensuale, di opportunista, no? Invece io vivo anche una condizione di univocità, qualcosa di inderogabile, e quindi forse sarei più compresa, e forse meno visibile, meno visibile in quanto donna, perché le donne solitamente sono meno visibili, da loro ci si aspetta meno, perché stanno dentro le mura domestiche, ma la mia vita che prezzo paga per tutto questo? A chi devo chiedere il permesso di essere me stessa? Al coming out, al locale, al bar, alla gente, ai miei genitori, al mio diario? A chi? A nessuno! Perché io semplicemente esisto, così….Ma è il mondo che non esiste per se stesso e cerca attraverso di te di negare, di non riconoscersi, negandosi, attraverso di te, negandosi, negando te, negando tutto quello che in te è come loro, e che loro non vogliono vedere. Allora forza a cercare di capire questa pretesa liberalità del coming out, che senso ha in questa società? Che senso ha in questo corpo, in questa vita, in questa famiglia: chieditelo bene per quanto ti sembra naturale perché non è così naturale, è un massacro emotivo. Coming out: a chi serve? È doloroso, è massacrante, è invivibile, è irrazionalità pura! E gli altri? Gli altri non dovrebbero fare il coming out della loro eterosessualità? Dipende dalla prospettiva! È massacrante, è irrazionale, tanto irrazionale, follemente irrazionale, è strano, come se l’amore fosse una sfera diversa da quella della vita…non è vero! L’amore è dentro tutto, dentro ogni cosa, e questa voglia..di dirlo, di dirlo, di dirlo…di dirlo! Mi sento sola, mi sento come una condizione inconfessabile che non ha colpa, la cosa più naturale vissuta come un segreto, e senza colpa però. Senza colpa è difficile, è irrazionale, troppo irrazionale!!!!! Coming out non è solo dire: prima del coming out, dopo del coming out ci sono dei sentimenti, delle reazioni, che non dipendono da te, che non puoi controllare perché tu sei libera, hai solo bisogno di poter essere te stessa anche al di fuori di te stessa, è il mondo che dovrebbe guarire, come lo vorrei……
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