Prosegue la nostra inchiesta su bullismo e omofobia
di Raffaella Zajotti
Nella definizione di Randall del ‘97 il bullismo è definito comportamento aggressivo che deriva dall’intento di infliggere ad altri sofferenza fisica e psicologica, ed è proprio il desiderio di nuocere che anima il bullismo, l’intenzione di ferire la vittima. Il termine bullismo deriva dall’inglese “bulling”, corrispettivo dello svedese “mobbing”. La radice da cui deriva è “mob”, che si riferisce ad un gruppo di persone abitualmente esteso ed anonimo, implicato in azioni moleste. Il gruppo non è una massa anonima, ha una sua struttura, una sua dinamica e sue regole precise, come vedremo.Il bullismo comprende molestie di carattere psicologico, emotivo, sociale e fisico nei confronti di una persona; è legato inoltre ad atteggiamenti ed azioni che investono la sfera verbale e quella fisica: esclusione, calunnie, linguaggio del corpo aggressivo e molestie sessuali. Il bullismo è violenza in quanto rientra nella definizione di coazione fisica o morale esercitata da un soggetto su un altro: gli attacchi verbali, l’esclusione, le molestie e gli attacchi fisici rappresentano tutti forme diverse di violenza. La violenza del bullismo è legata, inoltre, ad un abuso di “potere” perché risente dell’intento da parte di un individuo o di un gruppo di controllare, umiliare, attaccare e si riflette in un’asimmetria di tipo verbale, fisico, sociale e psicologico tra gli attori coinvolti. Parlavamo del gruppo come base fondamentale del bullismo: il gruppo è il luogo sociale in cui le identità si affermano e si scambiano, il luogo dell’emulazione, dei fenomeni di identificazione e sublimazione. Invece di intervenire personalmente nell’attacco, il bullo può delegare altri agenti la sua azione, utilizzando la struttura del gruppo come difesa: in questo modo il mandante dissemina e disperde la sua presenza e, con essa, la sua personale responsabilità. Il gruppo, con la condanna di una vittima, acquista una paradossale identità di coesione: ciascun membro del gruppo sa che, se dice qualcosa in favore della vittima, potrebbe essere bersagliato dal gruppo, e ne perderà l’approvazione. In questo modo il gruppo si trasforma in un potente strumento di controllo reciproco. La vittima diviene un oggetto virtuale negativo di coesione del gruppo: essa va disprezzata, allontanata, emarginata per non esporsi al disprezzo ed alla disapprovazione del gruppo. Spesso a queste dinamiche si sovrappongono anche strutture ideologiche che condannano la vittima in quanto portatrice di disvalori per quelle stesse ideologie (ad esempio: aspetto fisico; è la base esteriore dell’ordine e deve essere impeccabile, bisogna essere belli, la bellezza è l’immagine dell’armonia, tutto è perfetto; i ruoli: la ragazza dovrà essere impeccabile e remissiva, il ragazzo dovrà essere rude, grintoso, magari aggressivo, comunque popolare, non potrà meditare, pensare in solitudine, sognare, il gruppo si sente offeso da queste manifestazioni di indipendenza e le legge come dichiarazione di superiorità: chissà cosa starà pensando, magari complotta contro di noi…; provenienza, lo straniero porta una cultura differente, allarme relativismo!!!; il gay, reale o presunto tale, non ne parliamo!!! Egli mette in discussione l’ordine fondante delle gerarchie e degli ordini della società, in questo le ideologie religiose concorrono non poco, ed insieme alle dinamiche di gruppo, alimentano un meccanismo distruttivo che si nutre di strutture e di violenza, alimentando i contrasti con la base del gruppo, attribuendo alle dinamiche difensive del branco valori ideologici che devono segnarne l’appartenenza, quindi il conformismo, quindi la Normalità rispetto a quelle ideologie). In questo la base non è formata da individui forti, potenti, che hanno consapevolezza delle loro azioni, ma da marionette del gioco. Le ricerche dimostrano che spesso ragazzi ed adulti tendono ad imitare il comportamento di una persona che agisce in modo aggressivo e che viene presa a modello. La condotta impunita dell’aggressore crea ammirazione tra i membri del gruppo, e li spingerà a dar sfogo alle loro dinamiche aggressive, solitamente tenute a freno. L’effetto dell’imitazione sarà più forte se l’osservatore è frustrato: in tal modo l’osservatore frustrato appaga le sue personali aspettative di successo in un’interazione aggressiva virtuale di una vittima attraverso l’osservazione. La vittima in quel momento è capro espiatorio simbolico, la sua distruzione rappresenta la distruzione simbolica di ostacoli e situazioni che il bullo in prima persona, e il gruppo degli osservatori passivi, non sono in grado si affrontare nella vita reale. Il bullismo è un fenomeno molto complesso; in questa sede mi sono limitata ad analizzare la dinamica di gruppo, con brevi considerazioni, senza addentrarmi nella psicologia del bullo, che è un fenomeno di vasta portata che, per ragioni di spazio, non può trovare trattazione esaustiva in questa sede. Ritengo inoltre che il bullismo sia il sintomo di un processo sociale piuttosto che di una personale mancanza o deficienza, anche se indubbiamente personalità più fragili ed indifese, cresciute in ambienti ostili in cui non sia maturata l’apertura al dialogo ad alla risoluzione del conflitto siano più esposte a diventare potenziali aggressori.
notizia del: 08/08/2007
martedì 7 agosto 2007
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento