venerdì 20 luglio 2007

LA SPERIMENTAZIONE SULL'UOMO

Pietro CroceConsiderare la Medicina "scienza sperimentale" è una mistificazione imposta da un altro inganno culturale molto diffuso: lo scientismo, una religione che ha posto sugli altari un nuovo, blasfemo "vitello d'oro". La sperimentazione, in realtà, è soltanto uno dei vari aspetti della ricerca medica la quale è soprattutto "scienza dell'osservazione" e solo marginalmente, per scopi precisi e in condizioni particolari, scienza sperimentale. Ma questa verità è stata stravolta e tutti noi, ammalati e medici, stiamo subendone le conseguenze: con mentalità sperimentalista il medico si accosta al malato trascurando, spesso, di interrogarlo, di parlargli, di visitarlo secondo i dettami dell'arte semeiotica, di interpretarne il recondito psicologico; infine, di considerarlo una persona. Al contrario, dopo averlo ridotto ad un congegno coordinato di meccanismi chiamati "organi" egli delega ai sofisticati mezzi di una tecnologia di stampo ingegneristico il compito di analizzarne, ad una ad una, le funzioni. E quando queste risultano "normali", accommiata il paziente e la sua indiagnosticata malattia, convinto di aver esaurito la più nobile delle missioni umane. Gli errori causati giornalmente dall'atteggiamento scientista della maggior parte dei medici potrebbero costituire un'abbondante raccolta novellistica. Ma, prima ancora, costituiscono un intransigente atto d'accusa contro una medicina che sta causando più malattie di quante ne cura e alienandosi un numero crescente di pazienti, i quali finiscono con l'affidare le proprie speranze a terapie non sempre distinguibili dalla ciarlataneria e dalla stregoneria. Diversità di specie animali Poiché nessuna specie animale è modello di nessun'altra specie, per approfondire certe funzioni e certi possibili guasti (malattie) dell'uomo è inevitabile ricorrere all'unico suo modello attendibile, l'uomo stesso. Questa affermazione non è una stravagante proposta per il futuro, ma la constatazione di una prassi già esistente e ben consolidata: si sta sperimentando nell'uomo da decenni. E lo si fa principalmente sui deboli e gli indifesi, su carcerati, su bambini, feti maturi, vecchi e menomati psichici, su persone affamate del terzo mondo. Il punto, perciò, non è se sia legittimo sperimentare nell'uomo, ma entro quali limiti e con quali modalità sia lecito farlo. E poiché il concetto di legittimità non è mai disgiunto da una morale radicata in convincimenti e comportamenti accettati e voluti dalla comunità, il primo passo deve consistere nell'informare la comunità di ciò che sta avvenendo nella medicina ufficiale, nei laboratori di ricerca, nelle corsie degli ospedali. Bisogna far capire al pubblico che una parte cospicua dell'attività medico-scientifica è rappresentata da un tipo di ricerca sull'uomo (ricerca clinica) che ancora si svolge in modo incontrollato, affidata esclusivamente alla coscienza, non sempre cristallina, di personaggi che nei loro reparti ospedalieri e universitari sembrano godere di una specie di diritto di extraterritorialità, protetti anche dalla comoda immagine che essi stessi si sono forgiati, di "benefattori dell'umanità". Cosa ancor più disgustosa, dalla sperimentazione clinica questi personaggi ricavano, in denaro o in forme meno compromettenti ma equivalenti, ricompense sufficienti ad onnubilare qualsiasi remora morale. Una delle conseguenze di questa situazione mercantilistica della medicina è l'enorme numero di farmaci che vengono licenziati, e successivamente ritirati dal commercio, quando se ne scopre la dannosità. Ma ciò avviene a spese di un numero incalcolabile di vittime incoraggiate, e allo stesso tempo beffate, dal fatto che quei farmaci, quando non sono gratuiti, costano soltanto il moderato prezzo di un "ticket". Qualche dato statistico: in Italia, in soli tre anni (dal 1984 al 1987) le vittime della tossicità da farmaci (solo quelle denunciate!) sono state 14.836 con 112 morti. Nel Regno Unito, nell'anno 1977,120.366 casi di effetti tossici da farmaci soltanto nei degenti di ospedali. Tutti farmaci che avevano superato il vaglio delle fasi sperimentali imposte dalla legge, compresa la sperimentazione clinica, cioè nell'uomo. Domanda: quanti anni occorrono per accorgersi che un farmaco è dannoso, e quante vittime nel frattempo? Il prof. Hoff (Congresso di Medicina Interna, Wiesbaden 1976) informa: "il 6% delle malattie con esito mortale e il 25% di tutte le malattie sono dovute ai medicamenti...". Incalza, il prof. Remmer di Tubinga, ad una riunione delle Casse Mutue tedesche: "...nella Repubblica Federale Tedesca ogni anno circa tremila decessi sono dovuti ai medicamenti..." Però se la Germania piange, l'Italia non ride: gli esperti di statistica sanitaria dicono che il 10% dei ricoveri ospedalieri è dovuto ad intossicazioni da farmaci e il 30% dei ricoveri deve prolungare la degenza in seguito a cure improprie. Cade qui con la pesantezza d'un macigno la domanda: "tutti questi farmaci tossici, non erano mai passati al vaglio della sperimentazione clinica? La stampa, la letterature medica, non si è mai accorta di questi fatti?" - Lo ha fatto, ma il clamore proveniente dall'altro lato è stato sempre tale da soffocarne qualunque altro. Citiamo due libri: P.F. D'Arcy e J.P. Griffin: "Iatrogenic Diseases" - Second edition, Oxford University Press, 1979. Kurt Langbein, H.P. Martin, P. Sichrovsky, H. Weiss: "Bittere Pillen" - Kiepenheuer & Witsch, Koln, 1983. Una regola della Natura "Nessuna specie animale è modello di nessun'altra specie". Perciò, indagare in specie diverse ciò che riguarda la specie "uomo" è un errore nel metodo della ricerca, un ERRORE METODOLOGICO. L'estensione logica di questa massima è che per la specie "cane", bisogna sperimentare sul cane; per la specie "gatto" l'unico modello idoneo non può essere che il gatto... per il coniglio, il coniglio; per il topo, il topo...infine, per l'uomo, il modello sperimentale dovrà essere soltanto l'uomo. Ancor più esatto sarebbe dire che il cane è il migliore (ma non perfetto) modello sperimentale della specie "cane", il gatto della specie "gatto" e così via...fino all'uomo che è il migliore (ma non perfetto) modello sperimentale della specie "uomo". Soltanto con questa precisazione si affronta il problema della sperimentazione escludendo sempre, categoricamente, la sperimentazione "inter species" che è sempre errata e fuorviante, e proponendo la sperimentazione "intra speciem", che è giusta quando si tenga presente quella variabilità individuale che esiste in tutte le specie animali, così come in tutte le cose della Natura. Errori metodologici del passato Un clamoroso esempio di errore metodologico è il sistema tolemaico. Nonostante il suo errore cosmogonico, nonostante l'imprecisione delle sue mappe marine e terrestri, tuttavia il sistema tolemaico consentiva ai naviganti di raggiungere i loro porti, le loro case. Lo studio della volta celeste consentiva ai tolemaici di predire con stupefacente puntualità fenomeni come le eclissi di luna e di sole, e perfino manifestazioni rare come il passaggio di certe comete. Ma quando Galileo ebbe dimostrato che l'intero sistema era falso, l'intero sistema fu gettato tra i rifiuti, senza cercare di risparmiare quelle parti che si erano rivelate giuste e perfino utili. Lo stesso deve esser fatto per la vivisezione, che va eliminata per sempre non solo nella prassi, ma anche nel ricordo. I futuri ricercatori dovranno dimenticare tutto ciò che hanno imparato dal metodo vivisettorio, e ricontrollare pezzo per pezzo nell'uomo ciò che credevano di aver imparato dall'animale. Chi gode del caos? Principalmente l'industria chimico-farmaceutica, che ha interesse a mantenere operosa la macchina produttiva e in continuo rinnova mento il mercato distributivo. E chi fa le spese della situazione? Lo Stato, che non può negare ai cittadini quell'alimento di speranza e di illusioni che si rinnova, abilmente concertato, alla comparsa, sempre trionfale, di ogni farmaco nuovo, di ogni nuova sigla commerciale. Stabilire regole e limiti, cioè "regolamentare" la sperimentazione clinica, è diventato un imperativo categorico. Nel futuro le associazioni per la difesa dei malati, dopo esser state adeguatamente informate (ciò che potrà avvenire se la stampa e gli altri mezzi di informazione si decideranno ad aprire anche a noi qualcuna di quelle porte che oggi sono spalancate a favore della medicina ufficiale e all'industria farmaceutica) le associazioni per la difesa dei malati, dicevo, si troveranno a dover affrontare un compito nuovo che trascende di molto gli scopi che finora sembravano esaurirne le funzioni: il compito di collaborare alla fondazione di una medicina completamente rinnovata nello spirito e nella prassi, non più dominata da apprendisti stregoni, ma guidata da uomini consapevoli dei limiti che devono esser posti alla scienza affinché non degeneri in scientismo. Ma perché delegare questi compiti ai privati, ad associazioni volontarie? Non dovrebbe essere, questo, un compito istituzionale dello Stato e dei suoi legislatori? "Regolamentare" è un atto giuridico che decade facilmente nel burocratismo, ma questa considerazione non deve allontanare il nostro impegno. L'atto burocratico del "regolamentare" deve essere considerato come base di partenza e punto di riferimento, non come traguardo definitivo. Una nuova regolamentazione 1. Qualsiasi prova sperimentale dovrebbe garantire una ragionevole probabilità di giovare alla persona che ne costituisce l'oggetto. 2. Lo sperimentatore dovrà disciplinare il proprio pensiero in modo da trascurare l'ipotesi che il risultato ottenuto nel singolo possa venir esteso alla comunità, una illazione, questa, che trasforma l'individuo, entità concreta, in vittima sacrificale a favore di una entità astratta, la comunità. Se si facesse questo, si accetterebbe il pensiero degli antichi sacerdoti cartaginesi che bruciavano bambini sulla statua del dio Hammon per invocare la pioggia che avrebbe riportato alla prosperità i campi inariditi e salvato la comunità dalla carestia. Consenso e sospensione 3. La persona a cui viene proposta la sperimentazione dovrà dare consapevolmente il proprio consenso scritto. Nei casi di inabilità fisica o psichica, il consenso verrà richiesto ad un tutore giuridicamente abilitato. 4.Il soggetto della sperimentazione, o il suo tutore, potranno esigere in qualsiasi momento e con richiesta anche soltanto verbale l'interruzione dell'esperimento, senza dover dare giustificazioni. Lo sperimentatore, a sua volta, dovrà esaudire immediatamente la volontà del richiedente. La necessità di imporre queste regole per Legge sarà ben compresa da chiunque sia stato costretto, una volta, a superare la riluttanza di chi non vorrebbe vedersi assottigliare la statistica di una sperimentazione clinica compiuta nel proprio reparto di ospedale o di università.Su chi sperimentare 5. Una sperimentazione volta a curare una malattia o ad approfondirne la diagnosi, dovrà essere applicata soltanto ai portatori di quella malattia. Non sarà ammesso che un farmaco concepito per un tipo di malattia venga sperimentato su malattie diverse da quella. Volontari sani Medici, sociologi, giuristi e teologi dovranno approfondire il problema dei volontari sani, sia nell'aspetto morale, sia nell'aspetto scientifico, per giudicare se questo metodo, così ampiamente usato, debba continuare ad esserlo anche nel futuro, e con quali regole. Sul piano scientifico, si considerino due fatti: A. il metabolismo di una persona sana non è lo stesso di una persona malata; B. la sperimentazione sui volontari sani non fornisce, di massima, informazioni sui danni cronici e sulle possibili conseguenze lontane dell'uso dei farmaci. Di solito non si presta un'attenzione adeguata alla tossicità ritardata. Ciò vale soprattutto per malattie croniche come il cancro. Il fumo di sigaretta ne è un esempio ben documentato, e vale non solo per il cancro, ma anche per le malattie cardiovascolari (infarto!). Sul piano morale, i cosiddetti "volontari" appartengono a due categorie: La prima è quella di sconsiderati mercenari che, adescati da abili persuasori, si lasciano convincere a vendere per denaro, una qualità, la salute, che tutte le legislazioni considerano come un bene inalienabile dell'individuo. E se l'esperimento danneggerà la vittima, chi ne risponderà sul piano giuridico? E sul piano economico, chi dovrà sopportare le spese per curare la persona danneggiata? La seconda categoria di "volontari" è costituita da coloro che giustificano il rischio deliberatamente affrontato con motivazioni di ordine religioso e filantropico. Ma si tratta, in realtà, quasi sempre di soggetti tendenzialmente paranoidi nei quali l'atto di sublimazione nasconde disordini mentali che vanno dal desiderio morboso di protagonismo al delirio di autodistruzione. La Società deve prepararsi a respingere l'offerta apparentemente generosa di costoro e rieducarli, piuttosto, a quel fisiologico egoismo e a quel rispetto di sé stessi che sono le premesse esistenziali della conservazione dell'individuo e della specie. I metodi di ricerca "alternativi" Per studiare nuovi farmaci e nuovi metodi diagnostici destinati all'uomo, i ricercatori dovranno approfondire le proprie conoscenze e la propria abilità tecnica nell'uso dei metodi detti "alternativi", ma che si dovrebbero chiamare "sostitutivi", perché nessun metodo può essere alternativo, e perciò assomigliare, alla gratuita crudeltà e assurdità della vivisezione. Lo stesso dovranno fare i medici veterinari, sempre nell'ambito dello studio "intra speciem" e con regole analoghe a quelle usate nella medicina umana. Bisogna però evitare che il metodo "scientifico" diventi un alibi per procrastinare "sine die" i risvolti più ingannevoli della ricerca biomedica, (sperimentazione sugli animali) o che certi pseudo ricercatori considerino la sperimentazione clinica come un "facile mezzo che aiuta a sbarcare il lunario". Il rischio e il beneficio Nel proporre nuovi farmaci e nuove tecniche diagnostiche i ricercatori e le ditte farmaceutiche, in relazione ai possibili danni tossici dicono: "Noi calcoliamo il rapporto tra il rischio e il beneficio". Ma dimentichiamo che il rischio si manifesta con danni concreti e quantificabili nella persona, mentre il beneficio è un'ipotesi che rimane avvolta nella indefinitezza delle rilevazioni statistiche. Il ricercatore di cultura antivivisezionista non accetta questo calcolo da libro mastro, così come rifiuta una bilancia che mette su un piatto una promessa e sull'altra un cadavere. E' bensì vero che un rischio accompagna tutte le azioni umane, specialmente quando toccano una materia delicata e sfuggevole come quella umana. Ma l'unico rischio ammissibile è quello che entra nel gioco della fatalità o dell'errore involontario, non quello previsto, calcolato e accettato che pretende di rassicurarci dicendo: "in fondo, ne ammazzo soltanto uno su mille". Fintanto che la ricerca medica continuerà ad essere contaminata dall'errore metodologico "sperimentazione negli animali", il ricercatore non dovrà tenerne alcun conto e affrontare la sperimentazione con mente pura, sgombra da idee preconcette. Il sacrificio di uno o di pochi Un'analisi delle indicazioni elencate per la sperimentazione nell'uomo nei paragrafi esposti poc'anzi mette in evidenza, inequivocabilmente, che gli antivivisezionisti concepiscono la sperimentazione clinica in una prospettiva alquanto più garantista e scientifica di certe raccomandazioni ufficiali, in parte già obsolete, come quella di Helsinki del 1964, riveduta nel 1975 a Tokyo.

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